Talent show, quando la selezione si fa in Tv

“Aziende, volete fare selezione del personale? Basta concorsi, colloqui e stage: chiamate Maria De Filippi”. Questo dicono i giovani italiani del XXI secolo secondo uno studio svolto dall’associazione “Donne e qualità della vita”: Lo studio, che ha interpellato 540 giovani disoccupati, di età compresa tra i 20 e i 28 anni, pescati nei maggiori capoluoghi di provincia italiani, da nord a sud, parla chiaro: i giovani in cerca di un’occupazione non si sentono capiti e compresi dai sistemi di selezione, sia da quelli pubblici, che da quelli privati.
I concorsi. Cominciamo dai concorsi, metodo preferito dalle pubbliche amministrazioni. Il 31% del campione li bolla come “taroccati”, il 26% li considera “troppo affollati”, il 20% “troppo difficili”, il 14% “troppo costosi”. Un capo d’accusa sfaccettato, quindi, mosso da ragazzi memori dei tanti tentativi fatti, senza aver trovato sbocco alcuno. Non va meglio per gli stage aziendali. Per il 33% le possibilità di assunzione per chi vi ci si avventura sono ridotte al lumicino, per il 25% sono una forma di sfruttamento legalizzato, per l’11% servono solo a riempire uffici e fabbriche di galoppini a cui affidare i lavori che nessun altro vuol fare. Quindi, voto finale: zero, perché c’è pure un po’ di sospetta malafede. Peggio che mai i colloqui individuali, disertati preventivamente da quasi il 19% del campione intervistato, visto che “pochi minuti non bastano a far emergere le qualità del candidato” (per il 34% di quel 19), anche perché è tutto così soggettivo: l’esaminatore ha troppo potere, e spesso si fa condizionare da aspetto fisico (ragazze, occhi aperti) e dal dress code (questo per il 19%, sempre di quel 19).
Ecco, quindi, il sogno: un talent show aziendale. In onda sugli schermi della televisione, con tanto di giuria demoscopica, pathos e intrigo. Uno stratagemma che potrebbe funzionare. Per il 36%, ad esempio, sarebbe perfetto per selezionare i futuri professionisti della creatività, delle arti grafiche e della pubblicità, per il 23% lo si potrebbe benissimo usare per la pubblica amministrazione e per la politica, o anche (20%) nella moda, nel turismo e nella ristorazione (12%), o (perché no?) nel giornalismo (5%).
Insomma, il talent show sì che il modo giusto per poter dimostrare concretamente le proprie reali capacità. Ne è ultraconvinto il 28% del campione. Il 24% va oltre, e lo considererebbe un’esperienza vitale per dimostrare anche nella pratica la propria eventuale predisposizione a questa o a quella mansione. Per il 22%, poi, innescherebbe anche una sana, frizzante competizione tra gli aspiranti lavoratori. E il 16% si fiderebbe molto di più di questo approccio, visto che determinante sarebbe il giudizio del pubblico da casa, ben lungi da antipatie o simpatie personali pregresse alla selezione-spettacolo.
Già, lo spettacolo. E questo pone un grosso dubbio: ma davvero si troverebbe un pubblico disposto a guardare in tv un talent show che selezioni l’anchorman del tg della sera, o il medico che domani gli curerà il raffreddore, o la maestra di matematica del proprio figlio che vuol fare l’astronauta? È vero: la risposta, immediata, che viene in mente, è quasi più desolante della domanda stessa.

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