Meritocrazia, questa sconosciuta

puntointerrogativo.jpgMerito, merito, merito. La parolina magica che doveva rivoluzionare i bandi di concorso per il reclutamento delle nuove leve degli atenei nostrani rischia di restare soltanto un desiderio inespresso del lesiglatore. Con buona pace di tanti giovani-e-brillanti laureati di belle speranze che dovranno continuare a competere ad armi “impari” con candidati più forti per via del cognome che portano o delle entrature che possono vantare dentro-e-fuori dall’università per ambire a un posto di ricercatore. A fine luglio la titolare del Miur Mariastella Gelmini aveva emanato un regolamento per mettere fine a questo malcostume: ma molti atenei non si sono ancora adeguati al nuovo corso, relegando il merito in posizione defilata e privilegiando la “discrezionalità” della valutazione da parte della Commissione. Gattopardescamente.
Le nuove regole. La nuova impostazione del Miur – per evitare giochi-e-giochetti in sede di concorso – impone che i candidati siano giudicati soltanto in base al proprio curriculum e alle proprie pubblicazioni. Mentre invece oltre la metà (precisamente il 52%) dei 170 concorsi da ricercatore banditi da novembre 2008 fino a oggi in 27 università non rispetta i dettami ministeriali, dopo l’entrata in vigore del nuovo regolamento alcune decine di bandi prevedono ancora il superamento di prove scritte e orali o un colloquio soggetto a valutazione: insomma, il massimo della discrezionalità. E il minimo della trasparenza e dell’oggettività, ci sentiamo di aggiungere.
Le pubblicazioni col tetto. E se un candidato “non predestinato” è davvero bravo e oggettivamente può vantare molte più pubblicazioni degli altri concorrenti qual è il modo migliore per silurarlo? Ma mettendo un tetto alle pubblicazioni che si possono presentare, naturalmente. Solitamente il tetto è – e dovrebbe essere – minimo: “almeno 10, almeno 15, almeno 20”. Se sono 30 ben venga. Ma se “si gioca al ribasso” le 5 pubblicazioni copia-e-incollate con la firma del raccomandato di turno varranno esattamente (anzi, molto di più) di quelle eccellenti-e-sudatissime (e tutte farina del suo sacco) del candidato pinco pallino.
Aurea mediocritas. Non bisogna generalizzare, ma i dati riportati sul “Sole 24 Ore” di ieri non lasciano adito a molti dubbi sugli obiettivi reconditi di alcuni bandi di concorso: “Le nuove regole chiedono di giudicare solo curriculum e pubblicazioni, ma il 38% dei bandi fissano ai lavori da presentare un tetto massimo. Massimo, non minimo. […] Ovvio, se tutti corrono con il freno tirato, che le chance dei meno brillanti aumentano, e la meritocrazia torna a essere un concetto buono solo per i convegni”.
Così fan (quasi) tutti. Il monitoraggio condotto dall’Associazione Precari della Ricerca Italiani (Apri) illustra bene l’entità del fenomeno, mettendo nero su bianco le cifre di alcuni tetti minimi per ambire a un posto di ricercatore: 5 pubblicazioni a Camerino, Cassino, Palermo; 4 a Varese, a Sassari addirittura 3. Dati che parlano da soli. E gridano vendetta.

Manuel Massimo

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