«Bisogna sfatare l’idea che in Italia non si possa fare della buona ricerca», dice, e il suo laboratorio ne è la prova. «Il problema – aggiunge – è che dall’estero ci sono tanti pregiudizi. Soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti ci considerano Terzo mondo, e hanno ragione. Basti pensare alla bassissima percentuale di Pil usata per finanziare la ricerca in Italia e all’immagine che diamo di noi con situazioni come quella della spazzatura di Napoli e, non ultima piaga, le sedi universitarie decentrate, che disperdono le energie e dequalificano l’Istituzione».
Può accadere, per esempio, che i revisori delle grandi riviste scientifiche internazionali siano particolarmente severi, quasi a sfiorare la diffidenza, quando leggono una firma italiana, che magari proviene da un’università piccola e poco nota. E può accadere che, dopo avere ascoltato la relazione di un italiano, il direttore di una rivista scientifica X si entusiasmi al punto da chiedere un articolo al relatore (di sua iniziativa e senza avvertire la redazione), e che nel momento in cui l’articolo richiesto dal direttore arriva nella rivista X, venga rifiutato su due piedi dalla redazione.
Le staminali “bambine”. Il tessuto adiposo viscerale trapiantato nelle mammelle si è trasformato in ghiandola mammaria capace di produrre latte in topi vivi. L’esperimento è italiano e dimostra per la prima volta al mondo che cellule adulte del tessuto adiposo possono riprogrammarsi spontaneamente, ossia tornare «bambine», vere e proprie staminali. La ricerca, che apre la strada anche a future cure contro obesità e diabete, è pubblicata nell’edizione online della rivista Stem Cells ed è stata condotta dal gruppo di Saverio Cinti, dell’Università Politecnica delle Marche, ad Ancona.