“I giovani italiani non trovano lavoro perché non soddisfano le richieste delle aziende”. Questo uno dei dati che emergono dal Rapporto McKinsey sull’analisi delle problematicità presentate dal passaggio dal mondo scolastico a quello del lavoro in 8 stati membri dell’UE, presentato recentemente dal Commissario Europeo per l’Educazione, la Cultura, la Gioventù e il Multilinguismo, Androulla Vassiliou al parlamento Europeo.
Il rapporto si basa sulle interviste di 5300 giovani, 2600 datori di lavoro e 700 insegnanti provenienti da paesi ritenuti rappresentativi dell’UE (Inghilterra, Francia, Germania, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Svezia) che insieme rappresentano circa il 75% dei giovani disoccupati dell’Unione.
Stando al rapporto, “Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla loro incapacità di trovare i lavoratori giusti, e questa è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati”.
Una situazione alimentata anche dalla mancanza di preparazione dei nostri ragazzi: secondo il resoconto presentato all’UE, i giovani italiani “non hanno le informazioni su come prendere decisioni strategiche. Datori e fornitori di lavoro o di istruzione hanno percezioni molto differenti – prosegue il rapporto mcKinsey – Il 72% degli educatori in Italia pensano che i ragazzi abbiano le attitudini di cui avranno bisogno alla fine della scuola; ma solo il 42% degli imprenditori concorda con questo. La percezione di questo divario riflette una mancanza basilare di comunicazione”.
La soluzione a questa impasse viene suggerita dagli stessi relatori del rapporto quando affermano che bisogna “incoraggiare gli educatori a insegnare quello che gli imprenditori richiedono”. Un’esigenza confermata dai dati raccolti: “Solo il 41% dei datori di lavoro dice di comunicare regolarmente con i dirigenti delle scuole, e solo il 21% considera questa comunicazione effettiva”.
La distanza tra domanda e offerta rimane, però, molto ampia. Basti pensare che tra le skills più ricercate dai datori dei lavori stanno la buona conoscenza della lingua inglese e le capacità informatiche, requisiti che solo il 23% e il 19% dei giovani lavoratori italiani sembra soddisfare.
Uno squilibrio che si traduce in cifre disastrose anche per quel che riguarda la trasformazione degli stage in rapporti di lavoro stabile: in Europa il 61% dei ragazzi che svolgono un tirocinio trovano lavoro al termine dello stage, in Italia la quota si ferma al di sotto del 46%.
Punto negativo, infine, anche per l’Università cui una buona porzione di giovani del nostro Paese non riesce ad accedere per motivi economici. L’Italia, in questa particolare statistica, va a braccetto con Grecia e Portogallo, i tre paesi in cui vige “la più bassa proporzione di giovani (sotto il 40%) ha completato l’istruzione post-secondaria”.