“Università, giovani e lavoro” è il titolo della lectio in cui il direttore generale dell’Università LUISS di Roma ha discusso un modo di pensare alla cultura ancora poco diffuso. “Quando Montezemolo mi chiamò per ridimensionare l’università rispetto alle mie competenze aziendali, pensai subito che tutti gli studenti avessero bisogno di essere indirizzati verso il mercato del lavoro” ha esordito Celli. I moderni centri di cultura devono ogni giorno cercare di assicurare continuità ai giovani, lo studio non può più essere separato dal lavoro e viceversa. “Nella formazione si deve pensare direttamente all’obiettivo. E’ solo cercando di raggiungere una data finalità che si imbocca la strada giusta per il successo – ha continuato a spiegare il direttore – la precarietà del lavoro determina purtroppo delle condizioni emotive dannose per lo studente per cui bisogna dare la possibilità di guardare avanti con sicurezza”.
L’università necessita di una presa di coscienza in cui rendersi conto che non basta solo la cultura, la conoscenza, la nozionistica ma la sperimentazione, i casi pratici. “I ragazzi devono sentirsi carichi di responsabilità, devo avvertire la sensazione di occupare una posizione all’interno di un contesto proprio come in una società. Gli studenti non sono utenti bensì committenti e dobbiamo rispettarli poiché è grazie a loro che riceviamo uno stipendio” ha affermato Celli.
L’università è nata come strumento utile agli studenti ma se non riesce ad assicurare la sua funzione primaria si rischia poi di avvertire la mancanza di scuole come quella dell’Olivetti, dell’Eni o della Pirelli che formavano i giovani in modo completo. Celli ha spiegato che gli atenei dovrebbero tracciare quello stesso percorso, creare menti “larghe” che non si perdano nel mobile mondo del lavoro. “Se non si è competenti il mondo ti trascina. Non serve a nulla parlare di riforma Gelmini dato che è tutta la cultura ad essere troppo burocratizzata” ha dichiarato Celli.