In effetti, è stata diversa. Lenta. E imprevedibile. Alberto Presutti è, anzitutto, un poeta. Uno che l’italiano lo maneggia con grazia. Ed è un insegnante. “Iscritto all’Associazione Italiana Formatori” ci tiene a precisare quasi subito. “Io sono un docente di galateo, di comunicazione dello star bene, di bon ton” risponde alla domanda: “Ma lei, in definitiva, che lavoro fa?” postagli dopo aver scorso il suo lambiccato curriculum sul suo sito (www.poetando.it).
E il dubbio viene quasi subito: “Ma cos’è il bon ton?” gli chiedo. “Il bon ton è l’armonia del vivere bene, del relazionarsi con gli altri in modo sereno”. Sembra filosofia. “E come mai oggi ce n’è così tanto bisogno?”. Qui, la sorpresa più grande: “E’ colpa del ‘68”. Immediato cambio di registro: passiamo all’atto pratico. “Lei ha tenuto corsi di bon ton di preparazione al colloquio di lavoro”.
Per parlarne, cita Rockfeller: “Sono pronto a pagare la capacità di relazionarsi con le persone più di ogni altro talento”. Quindi: comunicazione interpersonale. “Certo, e dobbiamo stare attenti a cosa comunichiamo non verbalmente durante il colloquio”. Sono indispensabili degli esempi: “Attenzione alla puntualità. Mai in ritardo, ma neanche arrivare troppo presto: se siamo in anticipo, meglio rifugiarsi in un bar (ma occhio alla caffeina, è un eccitante)”. E l’abbigliamento? “Non si va in passerella. Quindi, sobrietà. Soprattutto, per le ragazze: inutile vestirsi per conquistare il selezionatore. Sarebbe un brutto colpo arrivare lì, e scoprire che è una donna, magari di mezza età, che instaura un immediato rapporto di conflittualità con la nostra giovane avvenenza”.
Cambio di scena: esame universitario. C’è bisogno di bon ton anche per quello? “Ovviamente. Innanzitutto: gli occhi. Guardare sempre il volto del docente. Non siamo manichini. Siamo persone”. Qualche dettame sulla postura? “Semplice, come a tavola: avambracci appoggiati sulla cattedra, non si gesticola, e non si accavallano le gambe. E poi, evitiamo di arrampicarci sugli specchi: se ad una domanda non sappiamo dare risposta, meglio confessarlo”.
Per concludere, sintetizziamo: il bon ton sembra essere rispetto di se stessi. Un rispetto che ci permette di comunicare bene anche con gli altri. Alla pari, e con stile. “Bravissimo, è esatto” mi applaude il docente soddisfatto d’esser stato compreso. Ovvia domanda conclusiva: “Ma è difficile impararlo?”. “La banalità racchiude spesso concetti complessi” risponde. Stavolta, le parole sono di Sherlock Holmes. Manco a dirlo: un perfetto gentiluomo inglese. Tra l’altro, completamente immaginario.