L’appello targato Casabella. Il direttore del periodico edito da Mondadori si chiede quali siano stati gli effetti della proliferazione di nuove facoltà e corsi di laurea in Architettura in questi ultimi anni, e le risposte sono scoraggianti: aggravamento della “bulimia corporativa”, esplosione degli “appetiti localistici” e acquiescenza delle Pubbliche Amministrazioni, che hanno accettato supinamente l’istituzione di nuove sedi universitarie anche laddove non strettamente necessarie.
Conseguenze disastrose. “Ciò ha prodotto – evidenzia Dal Co – la dispersione delle risorse, lo scadimento della qualità del personale docente, la crescita del precariato e ha drasticamente ridotto la propensione alla mobilità della parte più giovane della popolazione italiana”.
Accademico vs. legale. Dal modello vigente del valore legale del titolo di studio – che omologa le esperienze e appiattisce le differenze – Dal Co sostiene che bisognerebbe puntare esclusivamente sul valore accademico “spingendo le Università a competere tra di loro e fornendo servizi formativi più efficienti e non più strutturati secondo logiche endogamiche. Inoltre ciò consentirebbe di riconoscere alle Università una piena autonomia per quanto riguarda la formazione dei corpi docenti, facilitando la mobilità degli insegnanti e lo scambio tra il mondo accademico e quello delle professioni”.
Casa dell’Architettura. Nel corso del dibattito accademico capitolino, tanti i punti di vista espressi: sulla riconfigurazione dei corsi triennali, la rimodulazione dell’offerta specialistica e il ripristino di corsi almeno quadriennali che vadano a formare l’architetto “generalista”. Una figura che, soprattutto, sia in grado di tenere una matita in mano: abilità oggi poco diffusa a causa dei software di grafica sempre più intuitivi e avanzati.
E già, perché in questa nostra epoca di iperspecializzazione, si sta perdendo proprio quello che per secoli è stato il nostro “italico” tratto distintivo nell’architettura e nell’arte in genere: la poliedricità. L’architetto nostrano moderno, per competere nel mercato del lavoro sempre più globalizzato, deve essere interdisciplinare: conoscere le lingue, le culture e le dinamiche di ciascun ambito con cui andrà ad interagire. Insomma: essere davvero un professionista a tutto tondo.
Manuel Massimo