Welcome to Kingston upon Hull (o semplicemente Hull)

La scorsa primavera sono stata selezionata per trascorrere il mio ultimo anno di magistrale presso la University of Hull. Recentemente nota come the UK City of Culture 2017, si trova nell’Inghilterra nord-orientale, alla foce del fiume Hull (da cui prende il nome), a 36 km dal mare.
Da quel giorno sono passati alcuni mesi, durante i quali mi sono spesso immaginata come sarebbe stato vivere un’esperienza del genere. Essendo in Italia una (mezza) fuori sede, la vita (un po’) lontano da casa non era per me così sconosciuta (cinque giorni a settimana possono andare bene?). Tuttavia ho più volte sognato ad occhi aperti gli ultimi abbracci prima della partenza e gli arrivederci, il mare e i prati verdi dal finestrino dell’aereo, il mondo molto “British” che avrei visto una volta atterrata nelle terre di Britannia. Ora qui ci vorrebbe quell’inconfondibile suono del disco graffiato perché no, non è andata (proprio) così.
Sveglia alle 5, freddo, ho lo stomaco chiuso. Arrivo in aeroporto sono in ritardo, come al solito. Incontro Elisa, la mia roccia da qui al prossimo giugno e…decolliamo. Caldo, qualcosa non va, sono troppo agitata. Elisa continua a dirmi di stare tranquilla che poi passa ma più saliamo più sento la pressione che mi schiaccia, mi manca l’aria. Atterriamo a Colonia, freddo, non ce la faccio. Saliamo su un altro aereo ho un attacco di panico non voglio ripartire. Elisa, cara ragazza, è alla mezza tra lo stare calma e tirarmi un pugno. Dalla cabina di pilotaggio ci raggiunge il comandante (qualcosa mi dice che non era il secondo pilota, purtroppo non sono proprio riuscita a far caso alle fettucce e alle stelline) il quale mi comunica che ho circa 1 minuto per decidere se sono in grado di volare o preferisco rimanere a terra. Di nuovo caldo e mi cade il mondo addosso. Cerco di auto convincermi che non sto per morire e che posso resistere un’altra ora e mezza e che poi sarà tutto finito. Decolliamo, freddo, tappi nelle orecchie, cups e tovagliolini imbevuti di acqua calda (purtroppo non ho le fotografie, era troppo imbarazzante) e ragazzi, fatemelo dire, sono pure riuscita a guardare fuori dal finestrino.
Atterriamo, mal di testa, freddo, vento, il computer cade e si rompe, ragazza dello staff in maniche corte (io andavo di piumino), saliamo sul pullman diretto a Hull. La vetrata laterale all’autista ha inspiegabilmente un buco gigante al posto di un normale finestrino. Bene, penso, se non fosse stato per il fatto che ovviamente ci siamo sedute dietro di lui in prima fila (dopo i fatti appena accaduti preferivo stare davanti) e ci facciamo altre 2 ore (probabilmente di più) di vento gelido fra i capelli e fu così che capii che da qui a giugno non avrei più fatto la piega, perché sarebbe stato inutile.
Dov’ero rimasta, ah sì. Autostrada, volante a destra, guida a sinistra (preferisco non dilungarmi). Arriviamo a Hull, freddo, vento, gente in maniche corte, pioggia, trascino le mie due valigie da 46 kg fino alla reception, caldo, una signora (in maniche corte) con un accento fortissimo mi consegna le chiavi di casa, che fortunatamente si trova accanto all’università. Trascino ormai me stessa e le mie leggerissime valigie fino all’uscio apro la porta e…
Ma che è sta roba? no, non ci credo, ma dove sono finita? Ho la sensazione che ci abbiano messo in una delle peggio case dell’avenue e la mia camera è proprio di fronte allo sgabuzzino di Harry Potter (non che la cosa mi dispiaccia peccato che all’interno si trova un aggeggio strano (dal quale proviene un rumore costante e anche abbastanza forte) e dalla mia finestra ho una vista esclusiva sui bidoni dell’immondizia.
In 3 nano secondi realizzo: Nove mesi, freddo, vento, gente in maniche corte, pioggia, moquette, muffa, e il bidet? Non è possibile, io torno a casa. Ah no, non posso, ho appena fatto 3 ore di volo e ci ho quasi lasciato la pelle, rimarrò bloccata qui per sempre. Esco, vado in università perché ci offrono la cena e mi ritrovo davanti a un tavolo pieno di – indovinate un po’ – sandwich of course, torno a casa, disfo la valigia, mi sdraio su un materasso che al posto che farmi rilassare mi fa venire il nervoso perché è tutto tranne che un materasso, e nulla fisso il soffitto, chiudo gli occhi, sento il motorino nello sgabuzzino di Harry Potter e mi sembra di essere ancora su quel maledetto aereo. Crollo.
Da allora sono trascorse due settimane, la mia camera non è più così spoglia, mi hanno cambiato il materasso, sono attrezzata per il bad weather, la casa è più una casa e il bidet…beh quello niente, niente bidet.
Ci si abitua e ci si adatta, inizi ad orientarti e a conoscere le storie degli altri, gli stessi problemi, gli stessi sogni. E capisci che ci sei riuscito, hai fatto il grande passo hai rotto il ghiaccio. Non puoi sapere cosa accadrà domani, se sarà una bella o una brutta giornata. Ma sai che potrai affrontarla meglio di come avresti fatto ieri, di come avresti fatto se non avessi preso quell’aereo, perché ti ha aiutato a capire che si può superare tutto, basta solo un po’ di coraggio.

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