Università euro-mediterranee, Scalisi (UNIMED): “No a oasi nel deserto ma rafforzare la cooperazione con veri partenariati tra università”

“La Commissione europea lo scorso anno ha ridotto del 60% i fondi per la cooperazione tra università. Servono nuove risorse e nuovi strumenti”

Ha fatto molto discutere nei giorni scorsi la proposta del presidente Romano Prodi di creare delle università euro-mediterranee per aumentare la cooperazione e lo sviluppo comune tra l’Europa, il Nord Africa e il Medio Oriente. “In assoluto tutte le iniziative che cercano di attirare l’attenzione sull’Euro-Mediterraneo e sulla cooperazione universitaria sono bene accolte. Sopratutto perchè ad oggi la Commissione europea ha ridotto, drasticamente, per la coopreazione universitaria, accademica, del 60% – racconta a Corriereuniv.it il direttore di UNIMED, Marcello Scalisi – “Quando c’è il deserto l’oasi diventa un bellissimo simbolo, ma c’è già una rete infinita di rapporti tra le università, non c’è più bisogno di cattedrali nel deserto ma di continuità. Bisogna rafforzare la cooperazione internazionale euro-mediterranea per contribuire all’innalzamento della qualità del sistema universitario nei paesi della riva Sud del Mediterraneo”.

Alleanze tra università

L’Unione delle Università del Mediterraneo conta 144 atenei che vanno da Parigi a Tangeri, da Roma all’Iraq, dalla Finlandia allo Yemen. “Lavoriamo su tutti gli ambiti dellla conoscenza: abbiamo progetti su questioni ambientali, mobilità studentesca, sul giornalismo e i media, sulla questione dei rifugiati. Il nostro compito è quello di rafforzare la qualità del sistema universitario dell’area del Mediterraneo”. Scalisi, commentando le parole del prof. Prodi, ricorda l’iniziativa, fortemente voluta dal presidente Macron, riguardante le alleanze tra università europee. “Un’iniziativa europea molto dibattuta e finanziata, per esempio oggi uno studente iscritto alla Sapienza può frequentare dei corsi a Barcellona o a Berlino e questo viene riconosciuto nel titolo accademico. Una sorta di avanzamento del programma Erasmus”. L’idea, spinta anche dal Pnrr, è sempre più quella una rete accademica d’Europa sempre più interconnessa. “Ma c’è anche il rischio che diventi un’altra iniziativa che riguardi solo una certa parte della popolazione studentesca, premiando solo dei gruppi di università lasciando fuori il resto”.

Ora trasferire un’idea di alleanze tra università nell’area del Mediterraneo potrebbe essere un’iniziativa vincente: “Non so se fosse questo l’obiettivo della proposta del presidente Prodi, ma cercare di prendere il meglio del sistema universitario della riva sud del Mediterraneo e fare un lavoro reale tra partner – continua Scalisi -. Ora quello che facciamo è un trasferimento di competenze, aumentare le capacità portando queste ultime dal Nord verso il Sud, mentre lavorare da partner è una cosa diversa. E il tessuto è maturo perchè dopo tanti anni di cooperazione, finanziata dalla Commisssione europea, ci sono delle università nel Mediterraneo, con tutti i limiti di autonomia e finanziamento, che sono delle eccellenze. Aumentare i fondi e pensare degli strumenti nuovi, non solo capacity building ma delle alleanze con cui si possano fare progetti di ricerca congiunti o istituire dei laboratori di ricerca con le stesse metodologie che facilitino la mobilità dei ricercatori tra Paesi. Vera cooperazione accademica e non solo regalando un po’ di soldi come stiamo facendo in questi anni“.

Mobilità di ricercatori e studenti

“Se investiamo sulle infrastrutture qualche rischio c’è sempre, come quello della stabilità politica, investire invece sulle persone sono soldi che non vanno mai sprecati”. Il direttorei di UNIMED insiste anche su mobilità di studneti e ricercatori. “Dobbiamo dare una risposta a studenti e docenti, soprattuto questi ultimi dove in alcuni Stati hanno uno stipendio da fame e sono costrutti a fare altri lavori per sopravvivere, questo deve cambiare se vogliamo davvero aumentare la qualità del sistema universitario e, di conseguenza, dello sviluppo di quelle aree”. L’Unione delle Università del Mediterraneo sta organizzando, insieme ad Erasmus Students Network, un forum il 2 e 3 novembre a Barcellona proprio per dare la parola agli studenti dell’area mediterranea su come vogliono che sia il loro futuro. “Dare spazio anche a quegli studenti che spesso nei propri paesi hanno margine di parole limitato. Ed è su questo che dobbiamo costruire un racconto positivo dell’area del mediterraneo che ad oggi manca. Devono farlo i giovani perché la politica da questo punto di vista non aiuta“.

Le difficoltà non mancano e non mancheranno. Anche per la differenza dell’autonomia universitaria che, a volte, intercorre tra le due sponde del mare. “Molti paesi del mondo arabo hanno meccanismi e processi top-down: c’è un ministro e il resto segue. In alcuni, poi, un rettore può essere cambiato dalla mattina alla sera senza che vi sia nessun processo elettivo. Bisogna lavorare anche su questo, sull’autonomia degli atenei e dei progetti di ricerca, e senza imporre l’agenza a nessuno. Non dimenticandoci che le cattedrale nel deserto non servono più a nulla”. E fa l’esempio calzante: “L’Unione per il Mediterraneo (Updm, organizzione intergovernativa diu cui fanno parte 43 Paesi europei Ndr.) ha finanziato un’università in Marocco, attraverso finanziamenti internazionali, che è un esempio pregevole, ma rimane una realtà di poche centinaia di studenti e inutile. Basti pensare che l’Università del Cairo ha 260mila studenti e prima del Covid aveva un progetto di sviluppo per arrivare a 500mila“. I numeri parlano chiaro. “Questi sono i numeri di una popolazione giovane del Nord Africa con cui noi dobbiamo fare i conti e a cui non siamo più abituati come europei. Ed è a questa massa di ragazzi che dobbiamo dare una risposta e non ad un élite”.

Progetti comuni e decisioni comuni

“Non dobbiamo distogliere l’attenzione dal fatto che, superato il Covid, la crisi economica che arriverà nell’area del Mediterraneo trasformerà l’area in una situazione esplosiva. Basti guardare cosa succede nell’area geopolitica della Turchia. Noi lavoriamo per esempio molto in Libia, con tutto quello che ne consegue in termini di lentezza e difficoltà, un Paese che è stato chiuso per 50anni, ma è quello che bisogna fare: stare sul territorio, con fatica, accollarsi le difficoltà e cercare di garantire un po’ di qualità in più a quegli studenti. Quindi a mio avviso quel sistema universitario ha ora, dopo tanti finanziamenti europei, la possibilità di fare quel passo in più che serve. Fare in modo ad esempio che l’università di Parigi e l’università Manouba a Tunisi possano lavorare fianco a fianco, con progetti comuni e decisioni comuni. Dei luoghi di confronto tra accademici e studenti che possano portare ad iniziative concrete in modo che cresca una generazione mediterranea. Perchè è lì la nostra speranza: che gli studenti comprendano le differenze che esistono, perchè esistono, e le vivano come un elemento di ricchezza reciproca e non come un elemento di diversità“.

Se anche Confindustria parla di partenariati tra università

“Un piano a lungo termine, un’operazione di soft-power per i prossimi 5-10 anni, che sia un’idea-futuro del Paese. Il risultato da perseguire è costruire ponti che siano complementari alle infrastrutture fisiche, creare reti di conoscenza, diplomatiche, economiche, commerciali, dove l’Italia deve giocare un ruolo centrale”. Sono le parole rilasciate a Il Sole 24 Ore da Vincenzo Boccia, presidente dell’Università Luiss “Guido Carli”. L’università di Confindustria.

“La nostra sensibilità sul tema di creare una rete euro-mediterranea di università è molto alta, e conidividiamo l’indea di una strategia a lungo termine in questa direzione. L’Italia ha uno storico potenziale in chiave strategica nell’asse Europa-Mediterraneo-Africa. E su questo sono in linea con quanto affermato dal presidente Prodi”. “L’obiettivo – continua Boccia – è il partenariato per il co-sviluppo, un disegno che parta dalle università e si allarghi ad un’alleanza ad ampio raggio. Lo sviluppo è la pre-condizione per la pace. Vanno cercate strade nuove: una proposta potrebbe essere quella di concedere un credito di imposta ad aziende che sostengono con borse di studio un percorso di formazione di giovani di famiglie meno abbienti. Al fianco di ciò il governo potrebbe varare un piano di borse di studio che non siano di pura assistenza, ma come una grande azione di interessa nazionale”.

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