Professori contro l’inerzia delle Istituzioni internazionali sugli abusi in Iran e Afghanistan

Nelle università iraniane il governo ha bloccato o tagliato gli stipendi dei docenti dissidenti o che si rifiutano di punire i propri studenti per partecipare alle proteste

Sono oltre di 200 i professori di diverse università italiane (ma ci sono anche due docenti europei) che hanno sottoscritto una sorta di denuncia-appello che rimarca lo scarso attivismo da parte delle istituzioni e organizzazioni internazionali su violenze, crimini e abusi che stanno colpendo soprattutto le donne in Iran e Afghanistan. Ieri l’Università di Bologna ha ricordato un ex studente morto dopo le torture subito in carcere.

La presa di posizione arriva due giorni dopo la notizia che nel paese guidato dai talebani le donne non potranno più frequentare le università e dopo oltre 3 mesi di repressione violenta in Iran contro una protesta che chiede più libertà e che è stata macchiata dal sangue di troppi manifestanti. Il testo dell’appello è stato pubblicato dalla rivista Micromega.

“La notizia diffusa dai telegiornali nazionali che da oggi in Afghanistan le donne non potranno più andare all’università è l’ennesima scandalosa violazione dei diritti fondamentali ai danni delle donne. Si aggiunge alla vergognosa e sanguinaria repressione che il regime dittatoriale iraniano sta attuando colpendo ancora una volta principalmente le donne, torturate e uccise senza alcuna pietà. Condanniamo duramente e senza appello quanto sta accadendo sia in Afghanistan sia in Iran, ma anche il silenzio quasi totale delle Organizzazioni internazionali e sovranazionali e delle Istituzioni tutte che non intervengono in alcuna maniera affinché si ponga fine a questo scempio”.

Afghanistan

A fine dicembre un professore dell’Università di Kabul ha strappato i suoi diplomi in diretta televisiva in Afghanistan dicendo che non ne aveva più bisogno perché l’Afghanistan “non è un posto per fare istruzione“. Il gesto di Ismail Meshal che insegna all’Università di Kabul: “Questo non è un Paese dove ci si può istruire” ha aggiunto. “Se mia sorella e mia madre non possono studiare, allora non accetto questa educazione”. Il video del professore che strappa uno ad uno i suoi diplomi in tv è diventato virale sui social ed è stato ampiamente condiviso.

Shabnam Nasimi, ex Former Policy Advisor to Minister for Afghan Resettlement & Minister for Refugees (ex consigliere politico del ministro per il reinsediamento afghano e ministro per i rifugiati) ha condiviso il video su Twitter e ha scritto: “Scene sorprendenti mentre un professore universitario di Kabul distrugge i suoi diplomi in diretta TV in Afghanistan”.

Iran

“Mi hanno tagliato lo stipendio perché mi sono rifiutata di tenere lezioni ai miei studenti e ho permesso loro di scendere in strada a protestare”. È il grido, riportato dalla Bbc, di Azin Movahed, professoressa alla Facoltà di arti dello spettacolo e della musica dell’Università di Teheran. È il grido di tanti professori universitari iraniani che sono stati licenziati, minacciati, o hanno visto il loro stipendio dimezzarsi o azzerarsi perché sostengono le proteste e non obbligano gli studenti a frequentare i corsi universitari, come richiesto dal regime.

Il 2 gennaio la magistratura iraniana ha emesso due sentenze di condanna a morte per un manifestante di 18 anni a Mazandaran, riferisce l’agenzia di stampa Harana. Mehdi Mohammadifard, arrestato durante le proteste a Nowshahr, è stato accusato di corruzione e guerra. Solo l’ennesimo giovanissimo condannato a morte dal regime di Teheran. Oltre alla pena capitale, il tribunale rivoluzionario di Sari lo ha condannato a un totale di sette anni e mezzo di carcere per le accuse di “propaganda contro il regime”, “incitamento a turbare la sicurezza del Paese”, “insulto alla leadership” e “reati contro la sicurezza del Paese”. All’imputato è stata negata la possibilità di essere difeso da un avvocato.

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