Papa Francesco a Roma Tre, dialogo con gli studenti

Pope Francis speaks during his visit to the University Roma Tre. Rome, 17 February 2017. ANSA/CLAUDIO PERI

Prima visita del pontefice argentino in un ateneo pubblico della Capitale: “Apritevi a scambio di culture perché questo toglie le paure”
“A proposito di identità cristiana dell’Europa e di paura che se venga gente di altra cultura perdiamo l’identità europea, io mi domando quante invasioni ha avuto l’Europa dall’inizio a qui? L’Europa è stata fatta di invasioni e migrazioni, voi sapete meglio di me che l’Europa è stata fatta artigianalmente, così le migrazioni sono un percorso, sono una sfida per crescere. Da soli, come fosse una preghiera, pensiamo al Mare nostrum che è diventato un cimitero”.
Le radici dell’Europa risiedono anche qui, nei migranti arrivati nel Vecchio Continente e che secolo dopo secolo l’hanno aiutato a formarsi. Nella prima vista di Francesco a un ateneo statale della capitale, questa mattina all’Università di Roma Tre già visitata nel 2002 da Giovanni Paolo II, Francesco parlando a braccio ha ricordato quale sia il cuore dell’Europa, quali le sue radici: “Ogni Paese – ha detto – deve vedere che possibilità ha di accogliere, ma tutti devono farlo”, perché i migranti “sono uomini e donne come noi. Per questo “bisogna integrarli”, e “fare uno scambio di culture”, perché “questo toglie la paura”. E ancora: “Le migrazioni non sono un pericolo”. Mentre c’è chi difende “l’identità cristiana dell’Europa e ha paura che se arriva gente di altra cultura perdiamo l’identità europea”. Eppure, “i ragazzi che hanno fatto la strage a Zaventem erano belgi: nati in Belgio, immigrati di seconda generazione, ghettizzati non integrati”.
Per Francesco molti dei problemi della nostra società hanno invece come causa le difficoltà economiche: “La liquidità dell’economia – ha detto – toglie la concretezza e la cultura del lavoro, i giovani non sanno cosa fare, perché se non trovo che faccio? Girano, li sfruttano qui, tre giorni là e non trovano, alla fine l’amarezza del cuore porta alle dipendenze; le dipendenze hanno una radice, o mi porta al suicidio”, “o mi porta che vado da un’altra parte e mi arruolo in un esercito terroristico, almeno ho qualcosa da fare e do senso alla mia vita”.
Sono trascorsi nove anni dalla mancata visita di Benedetto XVI alla Sapienza di Roma. Allora papa Ratzinger mandò il suo intervento per posta nel quale si proponeva di parlare “come rappresentante di una ragione etica”. Ma accusato da alcuni docenti di appoggiare la teoria del “disegno intelligente”, fu costretto a declinare l’invito. Nove anni dopo è un clima diverso ad accogliere Francesco a Roma Tre. Papa Bergoglio non si è soffermato sul rapporto fede-ragione e sull’apertura che una università laica deve avere per chi, come lui, rappresenta un portato etico. Piuttosto è entrato nel cuore dei problemi pratici della vita di tutti i giorni, insistendo sul fatto che una università, per essere tale, deve aprirsi all’ascolto, accogliendo tutti.
La prima domanda l’ha fatta Giulia, 25 anni, laureata in Scienze Politiche Relazioni Internazionali. Ha chiesto quali possono essere le “medicine” per contrastare le manifestazioni di un agire violento, purtroppo sempre presenti nella storia dell’umanità? Francesco ha risposto ricordando che non c’è solo un agire violento, ma anche un linguaggio, un tono violento. “Oggi si parla per strada, a casa, si grida, anche si insulta con una normalità… c’è anche la violenza nell’esprimersi, nel parlare. E questa è una realtà che tutti vediamo, no?”. C’è un’aria di violenza “anche nelle nostre città; anche la fretta, la celerità della vita ci fa violenti a casa”. Questa violenza da piccola diventa grande e invade tutto: “Nessuno, oggi, può negare che stiamo in guerra, e questa è una terza guerra mondiale a pezzetti, ma c’è. Bisogna abbassare un po’ il tono e bisogna parlare meno e ascoltare di più. Ci sono tante medicine, contro la violenza, ma la prima, prima di tutto è il cuore: un cuore che sa ricevere, ricevere cosa pensi tu. E prima di discutere, dialogare. Se tu pensi differente da me, ma dialoghiamo! Il dialogo avvicina, non solo avvicina le persone: avvicina i cuori. Con il dialogo si fa l’amicizia e si fa l’amicizia sociale”.
Un ruolo importante sulla strada del dialogo lo svolgono anche le università. Ma non quelle “di élite”, che “sono generalmente cosiddette università ideologiche, dove tu vai, ti insegnano questa linea, soltanto, di pensiero, questa linea ideologica e ti preparano per essere un agente di questa ideologia. Quella non è università: quella non è università. Dove non c’è dialogo, dove non c’è confronto, dove non c’è ascolto, dove non c’è rispetto per come la pensa l’altro, dove non c’è amicizia, dove non c’è la gioia del gioco, lo sport, tutto quello, non c’è università”.
Nell’esistenza quotidiana occorre sempre “cercare l’unità”. “Noi dobbiamo cercare sempre l’unità, l’unità che non è quel giornale, no…”, ha detto ridendo. “L’unità che è cosa totalmente diversa dell’uniformità. L’unità ha bisogno, per essere una, delle differenze: unità nella diversità. L’unità si fa con la diversità. Noi siamo in un’epoca, viviamo in un’epoca di globalizzazione e lo sbaglio è pensare la globalizzazione come se fosse un pallone, una sfera, dove ogni punto è a uguale distanza dal centro, non c’è differenza, tutto è uniforme”.
La Repubblica

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