Le università italiane stanno prendendo posizione contro le discriminazioni, schierandosi in prima linea nella battaglia contro ogni forma di esclusione ed emarginazione. Con una crescente consapevolezza del ruolo educativo e sociale che ricoprono, diversi atenei stanno promuovendo una campagna di sensibilizzazione per denunciare i casi di sessismo e discriminazione che si verificano quotidianamente tra le mura universitarie.
Frasi come “Mi ha detto che ho superato l’esame perché sono carina”, “Mi hanno fatto i complimenti in gara solo per come ero vestita” oppure “Ha detto che sono un ottimo allenatore per essere una donna” sono solo alcuni degli esempi raccolti dalla campagna #finiscequi. Queste testimonianze rivelano pregiudizi e atteggiamenti discriminatori legati al genere, all’etnia, all’orientamento sessuale, alla disabilità, all’età e alla religione, che ancora persistono nei contesti accademici.
La campagna #finiscequi contro le discriminazioni in università
La campagna #finiscequi, lanciata dall’Università di Trento, ha trovato nel tempo ampio supporto, con l’adesione di diversi atenei italiani, tra cui quelli di Roma, Genova e Brescia. L’iniziativa mira a sensibilizzare su temi cruciali come il sessismo e la discriminazione, e a promuovere un ambiente accademico più inclusivo. “L’Università è una comunità, un’istituzione vocata alla formazione delle nuove generazioni, alla ricerca, alla conoscenza e al benessere lavorativo. Deve essere un luogo in cui il contrasto a ogni forma di discriminazione, il rispetto delle differenze e l’accoglienza trovano casa”, ha scritto in una nota l’ateneo dell’Alto Adige. L’Università condanna fermamente le molestie, le discriminazioni e le esclusioni, e si schiera a fianco di chi ne è vittima, invitando chiunque abbia subito tali ingiustizie a rivolgersi alla figura della Consigliera di fiducia per segnalazioni o semplicemente per un confronto.
Lo strumento cruciale della campagna #finiscequi è l’uso strategico di manifesti e messaggi diffusi in vari spazi dell’università e sui canali social. Questi riportano frasi che, lette nel giusto contesto, rivelano la loro natura discriminatoria o offensiva, con l’obiettivo di far riflettere su quanto il linguaggio possa veicolare pregiudizi e violenza. L’intento è quindi sensibilizzare la comunità accademica sul fatto che comportamenti discriminatori o esclusivi spesso si manifestano in maniera sottile, mascherati da frasi o atteggiamenti solo all’apparenza innocui.
Nei mesi scorsi, l’Unione degli Universitari ha presentato alla Camera dei Deputati un report sulle molestie nelle università. Secondo i dati, uno studente su tre ha sentito parlare di casi di molestie o violenze nel proprio ateneo, e oltre il 20% ritiene che l’ambiente universitario non sia sicuro. Dal report, inoltre, emerge che i docenti sono considerati i principali responsabili di molestie, battute inappropriate e abusi, con il 48% degli studenti intervistati che li individua come “i soggetti più pericolosi”.
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