Buone letture. La pubblicistica sul tema della malauniversità e della parentopoli accademica si arricchisce di un nuovo tomo, fresco di stampa. Scorrendo le pagine del libro in questione molti di voi, nostri appassionati lettori, non troveranno niente di nuovo: i temi trattati dall’autore sono sotto gli occhi di tutti, da tempo. Ma vederli raccolti tutti insieme fa una certa impressione. I concorsi “cuciti addosso” al vincitore predestinato sono la regola, quelli “puliti” rappresentano – paradossalmente – un’eccezione.
Un sistema universitario in mano a figli di rettori, professori e politici grazie ad una rete di concorsi truccati. Persone che per il solo fatto di portare un cognome che conta, diventano, anche senza i necessari requisiti, professori associati, ordinari o ricercatori. Di contro, figli di operai e di gente ‘normale’ – che questi requisiti li hanno – vengono bocciati o invitati a non presentarsi ai concorsi.
È questo il quadro descritto dal libro-inchiesta del collega di Corriere.it Nino Luca, “Parentopoli – Quando l’università è un affare di famiglia” (edito da Marsilio, 315 pagine, 18 euro), un instant book che fotografa l’università italiana nato dalle e-mail dei tanti giovani vittime – innocenti e non – di questo sistema.
Ecco come un professore giustifica questa tecnica: «I figli dei docenti sono più bravi perché hanno una forma mentis che si crea nell’ambito familiare tipico di noi professori». Diversa la visione dell’autore, che evidenzia le cinque fasi per bandire il “concorso perfetto” e farla franca (quasi sempre):
1. Attraverso accordi, politiche accademiche, favori e colloqui, si crea un’esigenza di organico perché si deve sistemare un allievo, un portaborse, un amico, un figlio.
2. Il posto viene finalmente bandito.
3. C’è da nominare la commissione, il presidente è quasi sempre il professore che è maestro di quel candidato che poi vincerà. Gli altri membri vengono indicati (‘caldamente suggeriti’) ai membri di quella disciplina da parte del presidente designato e questi membri votano seguendo le indicazioni.
4. Il professore presidente può rendersi conto che il ‘suo’ candidato non ha i titoli sufficienti, e allora gli procura un editore o una rivista e gli fa pubblicare qualcosa. Stranamente, le date di queste pubblicazioni coincidono sempre con le date del concorso.
5. Infine, se il presidente è particolarmente scorretto, comunica i temi delle prove scritte al candidato vincente in anticipo rispetto allo svolgimento delle stesse.
Un sistema questo che toccherebbe moltissimi atenei del nostro Paese: da Torino a Palermo, passando per Milano, Bologna, Modena, Firenze, Roma fino a Bari e Messina.
Ma nel suo viaggio tra gli atenei italiani il giornalista ha trovato molta altra malauniversità: dal rettore con otto segretarie personali, a quello che ricopre sette cariche in contemporanea, passando per il Magnifico in carica da 25 anni, e finendo con il caso di quello che avrebbe organizzato il matrimonio della figlia nell’aula magna della ‘sua’ università.
Manuel Massimo