“Sento questa battaglia ancora mia. Qualcuno lo doveva fare”. Giorgio Parisi, classe ’48, è uno dei fisici italiani più famosi al mondo, unico italiano, insieme a Carlo Rubbia, membro della National Academy of Sciences degli Stati Uniti. Da 2 mesi è promotore e protagonista dell’iniziativa “Salviamo la ricerca in Italia”, che ha l’ambizione di gettare luce sul mondo dei ricercatori italiani e di sbloccare, finalmente, un mondo troppo spesso dimenticato dai governi.
“L’iniziativa è nata in maniera abbastanza estemporanea, durante un convegno a Palermo di “Fisica dei materiali”- racconta Parisi in un’intervista al Corriere dell’Università -. Il gruppo di 69 teorici presenti ha dato vita alla lettera pubblicata su Nature. Da lì, poi, abbiamo deciso di chiedere supporto alla piattaforma Change.org. La nostra strategia è stata chiara: abbiamo deciso di sfruttare prima l’autorevolezza di Nature e poi cercare appoggio nella rete”.
Tavole rotonde, incontri e appelli hanno animato il progetto negli ultimi due mesi. Eppure sono in tanti a parlare di nuovi fondi per l’intero settore. “Il problema è che è difficile giudicare dagli annunci – continua Parisi -. Sia il ministro Giannini che il premier Renzi hanno parlato di un piano nazionale per la ricerca da 2 miliardi e mezzo. Personalmente preferisco parlare di numeri certi. Il Sole24Ore in un suo articolo ha scritto di 2 milairdi di interventi già contabilizzati, e di altri 500 milioni per il Sud. Insomma, all’apparenza niente di nuovo. Sembrano iniziative che non spostano di una virgola il bilancio dello Stato”.
Cosa fare, insomma, per “salvare la ricerca in Italia”? “In primis aumentare i fondi”, risponde Parisi. “Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un calo di oltre il 20 % dei fondi al sistema. Non si è mai visto neanche in tempi di guerra e carestie. Bisognerebbe ripartire dai livelli del 2008″.
“In secondo luogo occorre intervenire sul tema della trasparenza: non serve più capire chi ha preso i fondi (come a d esempio quelli del progetto PON -REC) ma come vengono spesi – spiega Parisi -. Servirebbe chiedere alle persone come hanno investito i soldi ricevuti a pioggia dal ministero. E questo è ancor più vero nel settore della ricerca”. Il sistema, insomma, è diventato troppo rigido. Quello che manca, per Parisi, è “la volontà politica per cambiare le cose”.
L’iniziativa sembra aver avuto una forte eco anche all’estero. “Almeno il 10 % delle oltre 62.000 firme raccolte fino a questo momento viene dall’estero. Purtroppo, negli ultimi anni, abbiamo assistito inermi ad un’enorme diaspora scientifica che ha caratterizzato il nostro Paese”.
La battaglia, comunque, non si ferma. “Abbiamo in programma iniziative di vario tipo. In primis coinvolgere concretamente il mondo della politica. Ma stiamo cercando di organizzare anche manifestazioni all’università in tutta Italia. L’obiettivo, poi, è quello di dare vita ad una grande assemblea nei centri di ricerca europei per raccontare e mettere insieme le storie dei ricercatori stranieri e discutere dei progetti”.
Dopo 35 anni nel mondo della ricerca per Giorgio Parisi non è ancora il momento di fermarsi. “Sento ancora mia questa battaglia. Qualcuno lo deve fare. È qualcosa che deve essere fatto“, conclude.
Raffaele Nappi
Photo Credit Fabiana De Rossi
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