L'altro lato della ricerca

felice-liccardo.jpgBel guaio essere un “cervello” nel nostro paese, ti pagano poco, rischi di essere precario a vita e poi la chimera del concorso pubblico… una lotteria che fa rima con baronia. C’è poi da dire che spesso i dottorandi o i borsisti, nonché i ricercatori, si sobbarcano sulle loro spalle ore e ore di attività non sempre definite bene dai contratti, insomma una sorta di volontariato. Abbiamo intervistato un ex borsista della SUN, Seconda Università degli studi di Napoli, Felice Liccardo, che ci ha svelato un bel po’ di retroscena.
Puoi chiarire la tua posizione contrattuale alla SUN dopo il dottorato?
Dopo aver concluso il dottorato di ricerca in “Conversione dell’Energia Elettrica” (dicembre 2005), da gennaio del 2006 fino a febbraio 2007 ho firmato 4 contratti a progetto, poi da marzo 2007 a gennaio 2008 ho vinto un assegno di ricerca ed infine un ultimo contratto a progetto per coprire il periodo febbraio-maggio 2008, data in cui sono passato alla nuova attività.
La ricompensa per le tue prestazioni era, a tuo avviso, adeguata al tuo contributo didattico e scientifico?
Durante il dottorato (2003-2005) il mio compenso era di circa 850 euro mensili e dopo il conseguimento del titolo è passato a circa 1300 euro mensili. Naturalmente senza tredicesime o buoni mensa o premi produzione. Lascio quindi decidere a voi se la cifra è adeguata.
Hai mai dovuto vivere momenti, tra il rinnovo di assegni di ricerca, dove non sei stato remunerato?
Purtroppo sì, la burocrazia anche in questi casi complica le cose ed è stato praticamente impossibile avere una continuità economica. Per ovviare a questo problema però, la cifra del nuovo contratto teneva conto del periodo di “buio” economico. Pertanto se un mese non venivo pagato perché ancora non era stato firmato alcun contratto, il compenso del contratto successivo includeva anche quella del mese mancante. Personalmente, dal 2006 al 2008 non sono stato pagato per ben 6 mesi, ma comunque il compenso nell’arco del periodo è stato equivalente comunque a 1300 euro.
Quante ore lavorarvi al giorno? Tutto il lavoro che svolgevi era inerente attività regolate dal contratto o andava oltre?
Il vantaggio/svantaggio del lavoro di ricerca che ho svolto in questi anni era proprio il fatto di avere la libertà dell’orario di lavoro. Il vantaggio risiede nel fatto che puoi andare al lavoro a che ora ti pare o andartene prima se devi sbrigare qualche faccenda personale. Potremmo dire un po’ come la libera professione, ma come quest’ultima non c’è nessuno che lavora per te. E questo è lo svantaggio, ovvero se hai qualcosa da ultimare (quasi sempre), magari sei vicino ad un risultato importante, puoi lavorare anche fino alle 20 oppure continui a lavorare a casa. Ad ogni modo non ho mai svolto solo l’attività regolata dal contratto ma anche tante altre attività che rientravano però nell’interesse del gruppo di ricerca.
Dopo la tua esperienza cosa reputi essere anomalo nel mondo accademico?
Non è semplice rispondere a questa domanda perché il mondo accademico è molto vasto e le anomalie sono legate sia a fattori interni, sia a fattori esterni. Per quanto mi riguarda, penso che, data la mancanza di un vero e proprio interesse nella ricerca da parte delle aziende, che punti ad un rapporto finalizzato ad un reale sviluppo tecnologico, il mondo accademico spesso si trova a fare ricerca senza avere riscontri tangibili che dovrebbero provenire dal mondo dell’industria. Inoltre l’università è anche un’azienda che deve far quadrare i propri bilanci e quindi cerca di risparmiare sui contratti e cerca sempre di trovare nuovi sponsor. A mio avviso questo è un circolo vizioso in quanto i professori cercano di stipulare collaborazioni con le aziende solo per far rientrare un po’ di soldi. Per contro le aziende offrono pochi soldi dato che in realtà non sono realmente interessate alla ricerca universitaria, ma lo fanno per avere un ritorno economico. Ciò però porta comunque ad un incremento delle attività del gruppo di ricerca che grava sempre sulle spalle delle stesse persone. Di conseguenza il lavoro non può essere svolto nel tempo prestabilito o non al livello di cui l’università è capace. Agli occhi delle aziende l’università appare solo come una macchina a caccia di soldi creando quindi sfiducia nel finanziare nuove collaborazioni. Ritengo quindi che il vero problema risiede nel fatto che la ricerca universitaria non ha una propria identità nel mondo aziendale ma è relegata solo alla “produzione” di nuovi laureati.
Quali prospettive di carriera avresti avuto alla SUN?
Io ho intrapreso questa strada per passione, voglia di crescere culturalmente, voglia di ricercare e desiderio di trasmettere conoscenza, quindi sognavo di diventare naturalmente professore. Con il passare del tempo però mi sono reso sempre più conto che non c’erano prospettive e quindi ho deciso di andarmene.
Di cosa ti occupi ora? L’aver svolto attività accademiche di ricerca e docenza, ti ha facilitato oppure no a trovare un lavoro?
Ora lavoro nel settore di ricerca e sviluppo di una società che produce componenti meccanici per veicoli a motore e mi occupo di elettronica. Il contatto è nato proprio attraverso una collaborazione con l’università. Ma non è stato comunque facile “convincere” i vertici dell’azienda che avrei portato un valore aggiunto in quanto ritenevano che la mia preparazione fosse “troppo accademica per rispondere alle loro esigenze”. Solo dopo lunghi colloqui, e dopo essermi piegato alle loro decisioni economiche sul mio salario sono stato assunto. Naturalmente ho inviato molti altri curriculum e cercato di contattare tante aziende, senza purtroppo ricevere nessuna richiesta di colloquio. Ritengo che qui in Italia, almeno nel mio settore, sia quasi penalizzante avere un titolo di dottorato di ricerca. Ho avuto più offerte dall’estero senza mai inviare un curriculum ma partecipando a conferenze internazionali, che qui in Italia dove ho seminato molto ma raccolto ben poco.
La tua attuale remunerazione è adeguata alla tua preparazione e alle ore di lavoro e a quanto hai dato allo stato italiano in termini di crescita scientifica e culturale dei discenti?
Attualmente la mia situazione economica è leggermente migliore di quella universitaria, ma comunque inadeguata alla mia preparazione. Inoltre, il dottorato non mi è stato riconosciuto e valutato ma sono stato assunto come un ingegnere con pochi anni di esperienza. All’estero il titolo di dottorato vale mediamente 1000 euro in più rispetto alla remunerazione base di un neo laureato.
Cosa consiglieresti ad un collega neo laureato ingegnere: dottorato o un buon lavoro nel privato?
Gli consiglierei certamente un buon lavoro nel privato se desidera rimanere in Italia, mentre gli direi di fare il dottorato se ha intenzione di andarsene all’estero. Gli direi anche che se dovessi rifare la scelta del dottorato la rifarei perché ciò che mi ha trasmesso è stata una esperienza unica di grande accrescimento personale e culturale. Purtroppo il problema non è il dottorato, ma è il sistema che mortifica le menti (… e i portafogli).

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