L’università La Sapienza di Roma si è unita all’appello della rete Scholars at Risk – SAR per la liberazione di Ahmadreza Djalali, il ricercatore iraniano-svedese arrestato cinque anni fa in Iran e condannato a morte con l’accusa di spionaggio.
L’appello è stato lanciato oggi dal presidente del Karolinska Institutet di Stoccolma, Ole Petter Ottersen, insieme Gian Carlo Avanzi, rettore dell’Università del Piemonte Orientale di Vercelli e Caroline Pauwels, rettrice della Vrije Universiteit Brussel. In tutti e tre gli atenei, Ahmadreza Djalali aveva svolto la sua attività di ricerca prima della sua detenzione in Iran. “Abbiamo avuto il privilegio di avere il dottor Djalali come collega – scrivono i tre rettori – e ora chiediamo ancora una volta pubblicamente il suo immediato rilascio”.
Scholars at Risk chiede alle autorità iraniane di sospendere la sentenza capitale emessa contro il Ahmadreza Djalali e di rilasciarlo perché riceva le cure mediche di cui ha urgente bisogno. Djalali, infatti, ha perso molto peso durante la prigionia e rischia di morire dietro le sbarre.
Le autorità lo hanno arrestato mentre visitava l’Iran nell’aprile del 2016, per partecipare a una serie di workshop ospitati dalle università di Teheran. L’accusa è di “collaborazione con governi ostili”. Da allora è detenuto nella prigione di Evin e periodicamente in isolamento. Un anno dopo, il 21 ottobre 2017, Djalali è stato condannato a morte.
La condanna è stata ripetutamente rimandata, ma il prolungato isolamento ha deteriorato la sua salute. Sottoposto a luci accese 24 ore su 24, 7 giorni su 7, ha infatti perso almeno 12 Kg per la privazione del sonno. Intanto, le autorità hanno negato l’accesso sia al suo avvocato che alla sua famiglia