La ricerca dell’Università Tor Vergata che vuole aiutare la prevenzione delle patologie neurodegenerative

Il ricercatore Elias Casula: “Grazie alla stimolazione e recezione delle onde prodotte dalle cellule cerebrali possiamo studiare come reagisce un cervello in decadimento cognitivo”
Human head and brain. Different kind of waveforms produced by brain activity shown on background. Digital illustration.

È possibile prevenire l’invecchiamento cerebrale? Esistono molti “segnali” che il cervello umano emette e che rivelano il suo stato di salute. Tali segnali, chiamati biomarcatori, se rilevati e interpretati precocemente, possono essere di grande aiuto nel prevenire o rallentare il declino cognitivo a cui il cervello va incontro con l’invecchiamento, sia esso sano o patologico. L’Università di Tor Vergata ha avviato un progetto di ricerca, attraverso i fondi Pnrr, il cui responsabile è il dott. Elias Casula che si prefissa l’obiettivo di studiare proprio i biomarcatori predittivi del declino cognitivo nel cervello umano, con un approccio innovativo e non invasivo.

Il progetto


“La mia ricerca si basa un nuovo approccio combinato di stimolazione cerebrale non invasiva ed elettroencefalografia. Questi strumenti, al cui utilizzo ho dedicato molti anni della mia esperienza di ricerca – racconta a Corriereuniv.it il ricercatore di Tor Vergata – ci permettono di interagire in modo non invasivo con l’attività cerebrale”. La stimolazione avviene attraverso un campo elettromagnetico che induce l’attivazione del lobo frontale, in modo non invasivo, permettendo simultaneamente ad un EEG (elettroencefalogramma) di captare la risposta. “Questo approccio di “stimolazione e registrazione” ci permette di studiare direttamente le risposte di un cervello sano o di un cervello con decadimento cognitivo e di capirne le eventuali anomalie. Nello specifico, nel mio progetto sono interessato al ruolo dell’attività oscillatoria in frequenze naturali. Le “frequenze naturali” cerebrali rappresentano la velocità a cui l’attività cerebrale oscilla in modo naturale, producendo un “ritmo cerebrale” spontaneo e si pensa siano di grande importanza per i processi cognitivi di alto livello come memoria e apprendimento.”

Le onde gamma

Le onde prodotte dalle cellule del cervello sono state oggetto di numerose ricerche. “Negli ultimi anni si è iniziato ad ipotizzare una stretta relazione tra uno specifico tipo di frequenze naturali (attività gamma), la plasticità cerebrale e i processi di memoria – spiega Casula –. Questi studi, però, sono stati condotti soprattutto su modelli animali. Nel cervello umano i dati sono ancora pochi e non del tutto chiari, soprattutto a causa dei limiti delle tecniche standard che non sono ottimizzate per registrare frequenze specifiche da aree cerebrali specifiche.

Il ricercatore dell’università romana si aspetta che questo nuovo approccio di stimolazione e registrazione sia una possibile svolta. “Sarà un po’ come dare un innocuo pizzicotto al cervello e studiare la sua reazione”. L’obiettivo è quello di aiutare la prevenzione del decadimento cognitivo, soprattutto a seguito di malattie neurodegenerative. “L’ultimo obiettivo dello studio è infatti capire il valore prognostico dei biomarcatori che individueremo e se le eventuali anomalie osservate possano predire l’evoluzione di un decadimento cognitivo a cui un paziente va incontro”.

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