Un’università che non riesce a risolvere i suoi problemi storici sul numero di laureati. Questa è la fotografia scattata dal rapporto sulla formazione superiore e la ricera dell’Anvur presentato ieri alla Camera dei Deputati. Il documento biennale è stato prrsentato a 5 anni di distanza dal precedente causa pandemia.
Nel documento c’è molto che non va: immatricolazioni che reggono ma in modo uniforme e con vere e proprie emorraggie dovute alla crisi abitati al Nord ma anche dal sistema di lavoro al Sud. Crescono i laureati, si ma il gap accumulato è lungi dall’essere recuperato e la fuga dei laureati dal Sud è sempre a doppia cifra. Ci sono poi degli aspetti positivi: le piccole università e grandi realtà resistono o migliorano nelle iscrizioni, la qualità della ricerca aumenta, aumenta il welfare studentesco. Il ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini ha commentato: “Ci sono più luci che ombre”.
Nel suo intervento nella sala Regina della Camera, la ministra dell’Università, Anna Maria Bernini, ha sottolineato più luci che ombre. Anche se, dopo aver ricordato l’aumento di 15 unità di personale per l’Anvur appena disposto dal governo, si è soffermata soprattutto sulle seconde. “Il dato che mi ha colpito di più è quello degli abbandoni che è stabile in calo”. “Quel 60% di iscrizioni dei diplomati che sono aumentate è basso”. Che si può fare? “Prima di tutto – ha spiegato Bernini – lavorare sull’orientamento, che è un target del Pnrr ma rappresenta anche un intelligente incentivo a fare vero orientamento verso mestieri che ancora non esistono”. A suo giudizio, anche gli abbandoni sono alti. “Non possiamo permetterci di far perdere tempo a una popolazione studentesca che non è giovanissima rispetto ad altri paesi, soprattutto quelli anglosassoni”. Mentre sulla fuga del Sud una risposta possibile è l’Erasmus italiano appena partito: “Perchè non consentire a un ingegnere di cominciare a Messina e proseguire a Milano?”, l’interrogativo (fino a un certo punto retorico) lanciato dall’esponente forzista per ribadire che in questo contesto borse di studio e residenzialità sono due temi ancora più centrali.
Pochi laureati
Nonostante il numero dei diplomi di laurea rilasciati annualmente sia aumentato di circa il 16% in dieci anni e, contestualmente, la quota di laureati che ottiene il titolo a tre anni dall’immatricolazione nelle lauree triennali (i cosiddetti “regolari”) sia aumentata negli ultimi sette anni di 12 punti percentuali, raggiungendo – a livello nazionale – il 38% per la coorte di immatricolati dell’a.a. 2017/18, la nostra quota di laureati nella popolazione tra 25 e 34 anni è ancora al 28,3% (in aumento di 7,3 punti percentuali negli ultimi dieci anni), ma con grandi differenze all’interno del Paese e, soprattutto, rispetto agli altri Paesi sviluppati se consideriamo che la media Ocse è del 47,1 per cento.
Dal Rapporto sulla formazione superiore ci sono sicuramente i “passi in avanti” compiuti in tema di diritto allo studio: nel 2021 grazie all’incremento del fondo integrativo statale il 98% degli studenti idonei ottiene la borsa di studio, a fronte del 75% del 2012. L’introduzione, a partire dall’anno 2017, della cosiddetta “no tax area” consente a uno studente su tre l’esonero totale dal pagamento delle tasse universitarie (il 50% al Mezzogiorno); l’effetto redistributivo ha tuttavia comportato un aumento medio delle tasse rispetto a un numero di studenti paganti che si è ridotto. Ben diverso il quadro offerto dai posti letto e la protesta nelle piazze delle settimane scorse, con gli studenti in tenda in molte città italiane, ne aveva dato un’avvisaglia. Secondo l’Anvur resta “ancora molto da fare in tema di residenze universitarie; anche in questo caso sono notevoli le differenze territoriali rispetto al dato medio nazionale, che vede otto studenti per ogni posto letto”.
Iscrizioni
Nel rapporto Anvur si parte dagli iscritti che sembrano tenere. Fatta la premessa che l’analisi dell’Agenzia di valutazione si ferma al 2021/22 mentre la cronaca è già arrivata al 2022/23 sono circa 1,9 milioni gl studenti iscritti alle università, di cui 331 mila immatricolati, con un dato in crescita del 10,3% rispetto a dieci anni fa. L’aumento della popolazione universitaria – sottolinea il rapporto – è stato particolarmente rilevante per le università telematiche, alle quali nel 2021/22 è iscritto l’11,5% del totale, con dati in aumento anche per le università tradizionali non statali e in leggera diminuzione per le statali tradizionali.
A iscriversi sono soprattutto i liceali. La percentuale di diplomati che si iscrivono alle università è rimasta sostanzialmente stabile nel corso degli ultimi dieci anni e si attesa a circa il 60%, con percentuali più alte per i licei (circa 77%), ma buone anche per gli istituti tecnici (46%) e ancora modeste per quelli professionali (25%).
Nord si allontana dal Sud
Se dal generale si passa al particolare e si guarda alla composizione territoriale spuntano i primi divari. A fronte di un aumento generalizzato del numero di immatricolati residenti nelle diverse aree del Paese, secondo l’Anvur, emerge la tendenza degli studenti a spostarsi verso le università del Centro e soprattutto del Nord. Nel 2021/22, con riferimento alle università tradizionali (non telematiche), il saldo tra immatricolati e immatricolati residenti negli atenei del Centro-Nord si attesta al +15,1%, a fronte di un saldo negativo del -19,3% per le università del Mezzogiorno.
Il fenomeno degli abbandoni dagli studi universitari ha risentito fortemente della pandemia. Gli iscritti a una triennale che lasciano tra il primo e il secondo anno era sceso al dato minimo di circa il 12% per tutte le coorti di immatricolati dall’anno accademico 2015/16 fino all’a.a. 2019/20 (3 punti percentuali in meno rispetto a dieci anni fa), ma sono tornati a risalire nel 2020/21, fino al 14,5% (con un minimo del 9,1% per i diplomati provenienti dal liceo e un massimo del 26,8% per i diplomati degli istituti professionali). Ma la tendenza ad abbandonare si manifesta anche successivamente al primo anno, come risulta dal 20,4% degli abbandoni dopo tre anni dall’immatricolazione per le lauree triennali, che sale al 24,2% a distanza di sei anni.
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