La notizia arriva dal CNR ed è di quelle che rimodella l’opinione pubblica su un farmaco a volte discusso. La fluoxetina, antidepressivo ampiamente usato nell’uomo (nto come Prozac), rivela un’inaspettata azione di potenziamento della plasticità dei circuiti nervosi cerebrali. E sui ratti cavie (per ora i risultati sono noti solo su di loro) è capace di restituire la vista alle bestioline ambliope. E’ questo almeno quello che affermano ricercatori dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr e della Scuola Normale di Pisa in uno studio pubblicato sulla rivista Science.
Il prozac insomma, il farmaco antidepressivo largamente usato nel trattamento di disturbi psichiatrici, sarebbe in grado di ‘ringiovanire’ il cervello adulto. La squadra di ricercatori è stata guidata dal professor Lamberto Maffei.
“Il prozac, ovvero fluoxetina cloridrato, comunemente detto fluoxetina, è largamente impiegato nel trattamento della depressione, dei disturbi ossessivo-compulsivi e degli attacchi di panico”, spiega Lamberto Maffei, direttore dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Pisa e professore di Neurobiologia alla Scuola Normale. “Appartiene alla classe degli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e agisce incrementando nel cervello i livelli di serotonina, che è uno dei principali neurotrasmettitori del sistema nervoso. Come questa azione a livello dei circuiti nervosi si traduca poi nella documentata efficacia terapeutica del prozac è un problema molto dibattuto”.
L’esperimento si è svolto a livello del sistema visivo, usando come indice di plasticità la restituzione di una normale visione in ratti adulti ambliopi. L’ambliopia, nota anche come occhio pigro, è una malattia molto diffusa nell’uomo, causata da uno sbilanciamento dell’attività dei due occhi che insorge in età giovanile, per esempio a seguito di opacizzazioni della cornea, strabismo, cataratta congenita. Se non precocemente diagnosticata e trattata, determina una forte riduzione delle capacità visive non più curabile in età adulta.
“Questi risultati”, sottolineano José Fernando Maya Vetencourt e Alessandro Sale, ricercatori della Scuola Normale di Pisa, “contribuiscono a chiarire i meccanismi attraverso cui si attua l’azione degli antidepressivi, ma suggeriscono quali alterazioni cellulari e molecolari potrebbero essere alla base di una patologia ampiamente diffusa come la depressione, la cui esatta eziologia è ancora poco conosciuta.
C’è un però: al momento non è noto se gli effetti del prozac sulla plasticità cerebrale documentati nel ratto siano ottenibili anche nell’uomo, il cui sistema nervoso è molto più complesso. I ricercatori pisani stanno pianificando nuovi esperimenti per chiarire questo punto essenziale all’applicazione.
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