Eurostat: in Italia i giovani fanno sempre più fatica a trovare lavoro. E la paga è al limite della povertà

I più esposti a impieghi mal retribuiti sono i ragazzi tra i 20 e i 24 anni. Dal 2020 al 2021, la quota dei sottopagati subito dopo il diploma è passata dal 12,3% al 15,3%

Giovani sempre più poveri e sfruttati. A certificarlo è Eurostat, infatti, secondo cui il numero di disoccupati e inattivi under 35 risulta al 23%: oltre tre milioni dei nostri giovani non studia né lavora e nemmeno ne cerca uno ed è la percentuale più alta d’Europa. Tuttavia i giovani italiani – per oltre il 60% – hanno maturato “una visione dell’economia che inglobi inclusività, sostenibilità sociale e ambiente, valorizzazione delle diversità“. È quello che emerge dal Rapporto Giovani 2022 dell’Istituto Giuseppe Toniolo di studi superiori, l’ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. I dati sono stati raccolti in quattro indagini con interviste, tra l’aprile 2021 e il gennaio 2022, due su un campione di giovani dai 18 ai 34 anni di Italia, Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna e due su giovani italiani.

Il rapporto

Il rapporto presenta nella prima parte i quattro fronti su cui si giocano le sorti di una ripresa che possa far leva sulle intelligenze, le energie e la vitalità delle nuove generazioni: le nuove modalità di formazione e le nuove competenze; i nuovi lavori; i nuovi nuclei familiari; le nuove forme di partecipazione sociale. Nella seconda parte si approfondiscono condizione e aspettative delle categorie alle quali il Pnrr si rivolge: oltre ai giovani, le donne, chi vive al Sud e nelle aree economicamente meno dinamiche del Paese. Si aggiunge un focus sulla componente straniera e immigrata. Visti i dati drammatici sull’attuale occupazione giovanile in Italia, che è l’unico Paese dell’Ue con un tasso di occupazione dei giovani tra i 25 e i 29 anni sotto il 60%, e dove è concentrato sotto i 35 anni il rischio di avere un reddito di lavoro basso e di non svolgere un’attività adeguata al proprio titolo di studio, i giovani vanno messi nelle condizioni di “accedere a un lavoro di qualità e abilitante”.

Nel capitolo dedicato alla risorsa scuola, si sottolinea il dato del 20 per cento di giovani “che sentono un basso coinvolgimento verso l’impegno scolastico”. Una risposta può venire dal miglioramento dell’efficacia ed efficienza dei servizi formativi, di cui si occupa la missione 4 del Pnrr, ma anche da un “modo nuovo di intendere il curricolo scolastico, il percorso formativo e il ruolo dell’insegnante”. Il secondo capitolo, che si occupa di come i giovani vedono le opportunità lavorative legate alla green economy e allo sviluppo sostenibile, sottolinea la crescita dei contratti di lavoro “verdi”, che a fine 2020 rappresentano il 35% delle nuove assunzioni. E anche nei giovani cresce l’attenzione alle tematiche ambientali e di sviluppo sostenibile: dalle interviste emerge come tendano a preferire, come datore di lavoro, “aziende socialmente responsabili, attente e impegnate in campo ambientale”.

Sindacati fondamentali per i giovani con pochi diritti


La tutela dei sindacati è fondamentale per la stragrande maggioranza dei giovani lavoratori (69%). Una cifra che sale al 71% tra le nuove professioni digitali e arriva al 75% tra gli under 25 e le donne. Quasi la metà dei giovani lavoratori (42%), infatti, denuncia di trovarsi ad affrontare criticità e problematiche nell’attuale contesto professionale (percentuale che sale al 55% proprio per i lavoratori digitali). È quanto emerge dal Rapporto realizzato dal Consiglio nazionale del giovani in collaborazione con Eures dal titolo: Nuove professioni e nuove marginalità. Opportunità, lavori e diritti per i giovani del terzo millennio. Lo studio parte da un’analisi delle grandi trasformazioni dei processi produttivi degli ultimi anni, in particolare l’automazione e la digitalizzazione, che stanno profondamente ridisegnando il mercato del lavoro e la domanda di competenze. Da un’analisi degli annunci di lavoro, emerge come il titolo o il testo declinino nella maggior parte dei casi al maschile il profilo richiesto, laddove per questo non sia utilizzato un termine anglofono (come “social manager” “web designer”, “promoter”) o ambigenere (“consulente” o “agente”). Più in particolare, il termine “addetto” è declinato al maschile nel 75% degli annunci (18 su 24), nel 21% dei casi, correttamente, è usata la doppia desinenza (“addetto/a”) e in un solo caso è presente soltanto al femminile (“addetta”). Analoga la situazione per gli annunci per “operatore”, “tecnico” e “venditore”.

“Le nuove professioni hanno aperto a vecchie e nuove marginalità che colpiscono soprattutto i giovani e, tra questi le donne, che rappresentano una componente particolarmente vulnerabile dell’offerta di lavoro – spiega Maria Cristina Pisani, presidente del Consiglio Nazionale Giovani -. I dati indicano, infatti, come in Italia tra gli under 35 solo il 32% gode di un contratto ‘stabile’, mentre il restante vive di lavoro precario che non permette la propria realizzazione personale e professionale e non conduce verso una vita autonoma. Un dramma che colpisce le nuove generazioni, sia a causa di retribuzioni mediamente più basse rispetto a quelle degli over 35, sia per l’indice di occupazione pari al 41% contro il 58% complessivo e l’indice di disoccupazione che raggiunge il 18% contro il 9,5% della media europea. E ancora una volta, le donne sono le più colpite, costrette a fare i conti con la discriminazione di genere sin da subito, negli annunci di lavoro, in cui la declinazione al femminile non viene quasi mai utilizzata, se non per mansioni come segretaria, a dispetto della legge 903/77 che vieta qualsiasi forma di discriminazione nell’accesso al lavoro anche nei requisiti di preselezione. È per questo indispensabile mettere in campo tutti gli strumenti necessari per invertire questa tendenza”.

Retribuzione consona per un giovane su due

Dallo studio si rileva, poi, che se oltre la metà dei lavoratori (54%) ritiene di essere pagato in misura complessivamente consona rispetto al lavoro svolto, una percentuale di poco inferiore (46%) esprime l’opinione contraria, ritenendo di ricevere una retribuzione inadeguata. Se infatti circa un giovane lavoratore su due (48%) percepisce una retribuzione fissa mensile, nella maggior parte dei casi si tratta di compensi in tutto o in parte variabili, che difficilmente possono sostenere la costruzione di progetti di vita o investimenti a medio-lungo termine. Le maggiori criticità si registrano, in particolare, tra i giovani lavoratori delle professioni digitali, tra i quali è maggioritaria la denuncia di un lavoro “sottopagato” (52%) mentre, sul fronte opposto, è “soltanto” il 37% dei lavoratori “qualificati” del terziario a condividere tale giudizio. Per poco più di quattro giovani intervistati su dieci (43%), infatti, la retribuzione mensile è inferiore a 1.000 euro, solo un terzo dei giovani (33%) riceve una retribuzione più dignitosa, compresa cioè tra 1.000 e 1.500 euro, mentre meno di uno su quattro (il 24%) supera i 1.500 euro netti mensili.

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