DuckDuckGo, Qwant e Info.com: chi sono i motori di ricerca che sfideranno Google su Android

Google alleverà le (sue) serpi in seno? Dei piccoli BigG pronti ad azzannarlo quando saranno cresciuti? Difficile, se non impossibile, che a un certo punto assisteremo al morso fatale, ma qualcosa di importante sta per succedere. Facciamo un passo indietro e supponiamo che stiate leggendo questo articolo sul sito Internet de L’Economia del Corriere dal vostro smartphone. Sette su dieci di voi hanno un dispositivo che funziona con Android, il sistema operativo sviluppato e gestito nella sua versione commerciale da Google (la quota di mercato di Android in Italia nel settore degli Os mobili è del 74%, in Europa del 71% e nel mondo ancora del 74%. Fonte: StatCounter). Se i sette in possesso di un Android, dopo aver finito l’articolo, vorranno cercare un’altra informazione in Rete con ogni probabilità si affideranno a Google. Loro e anche gli altri tre, perché così si comporta il 97% di chi cerca risposte su Internet dagli schermi mobili nell’Unione europea.

Però: nel primo caso, con il telefonino che gira con il robottino verde, non è giusto che la scelta di usare Google Search sia automatica perché, come detto, sia il sistema operativo sia il motore di ricerca fanno capo alla stessa azienda, il colosso Alphabet-Google che giovedì sera ha superato i mille miliardi di dollari di valore diventando la quarta società americana a varcare, magari anche per poco tempo, la soglia dell’one trillion club (le altre sono Apple, Amazon e Microsoft). Lo ha deciso la Commissione europea, comminando una multa da 4,3 miliardi di euro e imponendo la modifica dell’ecosistema. Era il luglio del 2018.

Per i piccoli aspiranti rivali di Google Search si tratta di un’occasione ghiottissima: sia in termini di visibilità, perché in questo modo si faranno conoscere da centinaia di milioni di utenti potenziali, quantomeno nel momento in cui curano le impostazioni dello smartphone appena acquistato, sia di guadagno. Scorrendo la lista di quelli che si sono aggiudicati l’asta per i primi quattro mesi – dal 1° marzo al 30 giugno – balzano all’occhio i due motori di ricerca che hanno vinto in tutti i 31 Paesi coinvolti: DuckDuckGo e Info.com.
Il primo, DuckDuckGo, ha rosicchiato qualcosa come lo 0,4% del mercato promettendo di tutelare la privacy di chi lo utilizza. Americano, della Pennsylvania, impiega 81 persone ed è attivo dal 2008 senza raccogliere alcuna informazione sui suoi utenti e, di conseguenza, senza inviare alcun messaggio pubblicitario basato sulle preferenze espresse durante la navigazione, ma solo tenendo conto solo di quello che viene digitato (cerchi «automobile» e vedi la pubblicità di un’automobile. Fine). Si presenta così: «Il motore di ricerca che non ti traccia». Chiaro, e attuale, in un momento in cui Google stesso si prepara a tagliare i cookie delle terze parti da Chrome, ma questa è un’altra storia. Quella di DuckDuckGo è cambiata nel 2014, quando Apple lo ha inserito fra le sue opzioni per la ricerca. Con il default di Android chiude il cerchio e spera che la crescente fame di privacy lo aiuti a diffondersi e a disacerbarsi.
In Info.com, invece, è inciampato persino il co-fondatore di Microsoft Paul Allen prima dell’esplosione della bolla delle dot-com del 2000. Quando ancora si chiamava InfoSpace, «era arrivato a valere più della Boeing, per poi crollare sotto il valore di due Boeing 777», testimonia il Seattle Times. Adesso Info.com è di proprietà della californiana System1 e agisce come aggregatore di risultati di altri motori di ricerca.
In Italia, a completare il terzetto sarà Qwant, che dalla Francia inneggia alla tutela dei dati personali come DuckDuckGo. Lanciato nel 2013, il prossimo aprile diventerà il motore di ricerca ufficiale del governo francese (e sta facendo l’occhiolino anche alle nostre istituzioni). Due differenze con Google: Qwant è autorizzato a operare in Cina e intende pagare i diritti agli editori di contenuti. Guardando oltre i nostri confini si nota come Bing di Microsoft si sia posizionato laddove è più apprezzato: nel Regno Unito, dove ha il 4% del mercato, contro il 2% del resto dell’Europa.
In alcuni Paesi fa capolino il russo Yandex, mentre il motore di ricerca ambientalista Ecosia si è rifiutato di partecipare all’asta. Donando l’80% dei suoi ricavi alla protezione dell’ambiente, non ha ritenuto corretto mettere mano al portafoglio per ingrassare le casse di Google e favorire un sistema che mette sotto pressione economica la già debolissima concorrenza. E Yahoo!? Ve lo ricordate? Non pervenuto.
corriere.it
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