Dove è la riforma?

L’EDITORIALE. Le proteste di questi giorni legate alla riforma dell’università mi hanno suscitato diverse riflessioni che provo a spiegare. Intanto, su tutto un dato importante: la partecipazione dei giovani.

Le proteste di questi giorni legate alla riforma dell’università mi hanno suscitato diverse riflessioni che provo a spiegare. Intanto, su tutto un dato importante: la partecipazione dei giovani. Credo sia fondamentale che i ragazzi siano tornati a farsi sentire anche se spesso dimostrano inconsapevolezza e disinformazione. Ma andiamo per gradi.
La loro partecipazione in massa è legata al fatto che negli atenei non c’è una cosiddetta normalità: i corsi non cominciano, vi è un’eccessiva frammentazione degli studi, la riduzione delle borse di studio e scarsa preparazione per il mondo del lavoro. I motivi per protestare ci sono dunque, ma è pur vero che di una riforma dell’università si avverte un bisogno non più rimandabile.
Troppe riforme su riforme, poca o inesistente valutazione, trasparenza non pervenuta, concorsi truccati, docenti assunti più per appartenenza e nepotismo che per merito e competenza. Tanti assunti negli ultimi anni, con i famosi concorsi locali, che hanno appesantito il sistema.
La riforma Gelmini che vorrebbe offrire qualche risposta presenta molti aspetti oscuri e da capire meglio, ma a mio avviso, è troppo timida per prospettare un netto cambiamento con il passato e con una prospettiva di sviluppo positivo. Si parla sempre e solo di risorse alle università e alla ricerca ed io sono ormai stanco di ripetere che investiamo davvero poco su questi temi, ma nel tempo mi sono fatto l’idea che è più importante il come che il quanto. È centrale che cambi il modo e le persone che gestiscono queste risorse.
I rettori e le governance. Basta atenei utili alle carriere politiche e come bacino di voti per i soliti di turno. Ne abbiamo viste troppe. Cambiamo il sistema per davvero e poi nel mentre verifichiamo i suoi risultati, programmiamo risorse abbondanti per il progetto di sviluppo culturale, scientifico del nostro Paese. Facciamo il pieno all’università e agli enti di ricerca, ma ci dimostrino che sono risorse collettive ben investite e non solo spese.
Troviamo le coperture per garantire a tutti gli idonei una borsa di studio e mettiamo ordine fra tanti atenei(ora anche 11 telematiche! Caso unico al mondo) e tantissimi corsi di laurea. Dicevamo di una riforma tiepida che rimanda tutto a regolamenti attuativi e che parla molto di valutazione attraverso un Anvur che non so quante volte ho sentivo annunciare già dall’ex ministro Mussi e di cui si parla tanto, ma di cui si conosce poco o nulla.
Ho iniziato a scrivere una decina di anni fa che l’abolizione del valore legale del titolo sarebbe la vera svolta per il sistema italiano argomentando che si concentrerebbe tutto sui contenuti piuttosto che sui pezzi di carta.
Sarebbe poi opportuno svecchiare l’università investendo sui più giovani anticipando se così vogliamo dire la pensione degli anziani. Ma su questo poco si è fatto, così come sui concorsi di cui non si coglie fino in fondo la trasparenza. Potenziamo invece il potere degli ordinari e dei rettori, a scapito degli associati, dei ricercatori e degli studenti.
Dov’è allora la vera riforma per un’università più aperta, democratica e di qualità? Lo vedremo solo nella fase di attuazione della riforma, se avrà ancora vita e se soprattutto l’avrà il Governo dopo il 14 dicembre. Staremo a vedere.
Mariano Berriola

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