Così i ricercatori inventano “la macchina del tempo”

Cellule adulte che cambiano destino: un po’ di inutile grasso (cellule adipose) che si trasforma nel più importante degli organi, il cuore; o una vecchia cicatrice (fibroblasti) in grado di fare il mestiere dei sofisticati neuroni. Stiamo parlando di fantascienza? Pare di no.

Il futuro è adesso a Bologna, Sassari e Firenze dove due Università e un’azienda privata stanno conducendo una ricerca che sembra destinata a rivoluzionare il mondo. I primi risultati infatti sono più che incoraggianti. Un comunicato stampa dell’Alma Mater parla di “macchina del tempo” perché i ricercatori,  applicando una tecnologia già nota e sperimentata sull’uomo, sono riusciti a ringiovanire delle cellule in laboratorio e a farle diventare qualcosa di diverso da ciò che erano.

La sfida è quella delle staminali, su cui si lavora da anni sull’intero pianeta, ma che ancora non ha dato i risultati sperati. La base da cui sono partiti gli italiani sono gli studi di Shinya Yamanaka, premio Nobel per la medicina, che ha scoperto che le cellule adulte conservano, da qualche parte, lo stato embrionale, cui si può ricondurle, per tentare di offrire loro un nuovo futuro.

“A questo scopo Yamanaka utilizza ingegneria genetica e vettori virali – spiega Carlo Ventura, professore di biologia molecolare dell’Università di Bologna, a capo del team di ricerca – ma gli effetti collaterali di questo approccio sono notevoli, per i grandi rischi oncologici connessi. La tecnologia da noi sperimentata invece è libera da queste conseguenze”. La tecnologia in questione si chiama REAC (Radio Electric Asymmetric Conveyer), è un brevetto di due medici fiorentini, Salvatore Rinaldi e Vania Fontani, utilizzato da anni dagli stessi inventori su pazienti con danni da ictus e altre patologie, psichiche e fisiche. L’incontro fra Bologna e Firenze avviene dopo la pubblicazione, nel 2003-2004, di un lavoro di Ventura sui “suoni” delle cellule e sulla loro risposta ai campi magnetici, soprattutto in senso cardiaco.

“Noi siamo riusciti a riprogrammare cellule adulte unendo fisica e biologia – dice Ventura – utilizzando Reac, cioè un convogliatore che produce campi  radioelettrici a bassissima intensità ed è connesso a un recettore e al tessuto cellulare”. Si tratta “di una riprogrammazione diretta – aggiunge Margherita Maioli, dell’Università di Sassari – abbiamo infatti indirizzato le cellule trattate direttamente verso un nuovo destino, cardiaco, neuronale e muscolare scheletrico”.

Un salto di qualità straordinario, perché questo sistema, diversamente da quelli sperimentati fin qui, non lascia sul campo pericolose cellule allo stato embrionale che poi, molto spesso, non riescono a trovare una nuova strada. Un sistema che supera il problema etico, perché utilizza cellule già adulte; una via persuasiva, perché dialoga dolcemente con loro, convincendole ad aprire lo scrigno del genoma e a tornare indietro nel tempo, ma non troppo, solo quel tanto che basta a trovare una nuova funzione.

Come sia possibile che piccole onde radio risultino così convincenti è un mistero inspiegabile, almeno per un profano. Fatto sta che dopo 72 ore non continuative di questo trattamento le cellule, adipose o fibroblasti che siano, sono pronte a una nuova vita. E’ l’anticamera di un mondo dei miracoli dove gli storpi cammineranno, i ciechi vedranno, le malattie degenerative saranno sconfitte e tutti avranno organi di ricambio, o almeno si può sognare che un giorno le cose andranno così.

Per ora i ricercatori italiani hanno fatto una scoperta importante (sensazionale?) e hanno deciso di metterla a disposizione della comunità scientifica pubblicandola su “Cell Transplantation”, prestigiosa rivista americana di medicina rigenerativa. “I primi riscontri sono molto positivi – afferma Ventura – e speriamo che anche l’applicazione clinica di questa scoperta abbia tempi relativamente rapidi. In un periodo di crisi poter lavorare su un progetto come questo è davvero entusiasmante”.

La ricerca non vanta particolari finanziamenti, ma è frutto dell’”ordinario” lavoro dei centri in campo. Un primo miracolo insomma è già avvenuto.

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