Concorso magistratura, l’intervista alla vicepresidente dell’ANM: “Fallimento delle scuole di specializzazione, utili i tirocini negli uffici giudiziari”

Per accedere all’esame basterà la laurea in Giurisprudenza. La giudice Alessandra Maddalena a Corriereuniv.it: “Bisognava abbassare l’età media di accesso per evitare la dispersione di menti brillanti”.

Le novità riguardanti il concorso in magistratura contenute nel decreto “Aiuti ter” rivoluzioneranno uno degli esami più difficili d’Italia. Da qui in avanti il concorso per diventare magistrati si svolgerà con il computer e non sarà obbligatorio aver frequentato una scuola di specializzazione ma basterà aver conseguito la laurea. Il primo esperimento di questa nuova modalità di concorso in magistratura sarà la prossima selezione, fissata dal ministero della Giustizia per fine settembre e a cui parteciperanno circa 400 aspiranti professionisti. Cosa comporterà questo cambiamento? Per capirne di più Corriereuniv.it ha intervistato la vicepresidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Alessandra Maddalena.

Giudice, viste le basse percentuali di superamento dell’ultimo concorso, oltre alle modifiche tecniche, è previsto un test più semplice rispetto agli scorsi anni data l’emergenza dei posti da occupare? 

Non c’è dubbio che le gravi scoperture che interessano da tempo l’organico della magistratura, con le inevitabili ripercussioni sui tempi del processo, impongano rapide procedure concorsuali di reclutamento. Ma la qualità della selezione per una funzione così delicata non dovrebbe mai essere sacrificata. Semplificare le prove scritte, magari con l’introduzione di un test, significherebbe abbassarne la valenza selettiva, portando a privilegiare una tecnica di elaborazione più mnemonica e meno argomentata, riducendo la possibilità per il candidato di dimostrare la propria capacità di ragionamento e di valutazione critica degli istituti. Penso, invece, che si debba intervenire sui tempi complessivi delle procedure concorsuali, assicurando cadenze puntuali e idonee capacità organizzative e amministrative, senza diminuire il necessario livello di serietà delle prove.

Perché su spinta del Csm si è scelta la strada dell’abolizione dell’obbligatorietà delle scuole di specializzazione per le professioni legali?

La scelta di riportare il concorso in magistratura ad una prova effettuabile dopo la conclusione del corso universitario risponde anche alla presa d’atto del fallimento delle scuole di specializzazione come momento di formazione specificamente dedicato all’avvio verso le professioni legali. L’innalzamento dell’età media dei candidati al concorso in magistratura ha comunque suggerito di seguire questo percorso. Di contro si è riconosciuta l’estrema utilità dei tirocini formativi presso gli uffici giudiziari. Questa esperienza ha raccolto ampio consenso tra i partecipanti al concorso, che ne hanno riconosciuto l’idoneità a fornire una formazione altamente qualificata e specificamente mirata alla conoscenza delle problematiche giurisprudenziali che spesso costituiscono oggetto delle prove concorsuali.

Il decreto prevede l’equiparabilità di accesso al concorso tra chi ha una laurea in Giurisprudenza rispetto a chi ha un dottorato, ciò non confligge con quanto portato avanti negli ultimi anni nei concorsi pubblici rispetto una valutazione diversa per chi ha un dottorato di ricerca? 

Guardi, ormai sono molti i candidati al concorso in magistratura che hanno conseguito un dottorato di ricerca e probabilmente dare rilievo al conseguimento di tale titolo avrebbe rappresentato un giusto riconoscimento per chi ha compiuto un percorso di approfondimento nello studio delle materie giuridiche, anche se non sempre ciò significa avere una maggiore preparazione, né garantisce una maggiore idoneità all’esercizio della funzione giurisdizionale. In ogni caso, era sentita l’esigenza di abbassare l’età media di accesso al concorso, anche per evitare la dispersione di giovani menti brillanti.

Le problematiche riscontrate negli ultimi concorsi spesso erano riferibili ad una problematica “antica” di chi esce da Giurisprudenza, il non applicarsi nella scrittura di memorie e documenti durante il corso universitario, un’apertura come quella contenuta nel decreto non aumenterebbe semplicemente il numero di chi sbaglia il concorso mantenendo la percentuale di riuscita invariata?

La problematica della disaffezione dei laureati in giurisprudenza alla redazione di elaborati in forma scritta non è stata certo risolta dalla istituzione delle scuole di specializzazione che molto spesso hanno prolungato il periodo di distacco dalla produzione scritta degli studenti universitari. Al contrario l‘esperienza dei tirocini formativi è riuscita a ridurre questo iato in quanto molto spesso i tirocinanti sono coinvolti nella predisposizione di elaborati giurisprudenziali e di bozze di provvedimenti, riappropriandosi così di una competenza nella redazione di testi giuridici scritti che ha facilitato il compito di redigere gli elaborati durante le prove concorsuali.

Vista l’apertura anche a chi ha una laurea di vecchio ordinamento non vi è il rischio che chi ha professato l’avvocatura per anni entri in magistratura portandosi dietro un bagaglio di conoscenze e frequentazioni, anche personali, che rischino di inquinarne l’imparzialità?

Innanzitutto, non mi sembra corretto l’accostamento contenuto nella domanda tra esperienza forense e inquinamento del senso di imparzialità che deve appartenere a chi svolge la funzione di magistrato. L’attività forense è una esperienza formativa comunque altamente qualificata e spesso conferisce al futuro magistrato una sensibilità più spiccata verso il ruolo fondamentale rivestito dalle parti nel processo. Le pregresse esperienze o le frequentazioni di un magistrato non devono mai inquinare la sua serenità di giudizio. A presidio di questa esigenza sono poste le norme sulla incompatibilità e sul dovere di astensione che grava sul magistrato tutte le volte in cui la sua immagine di imparzialità possa anche solo apparire compromessa.

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