Gli opposti estremismi non vengono premiati dalla logica del bipolarismo. E questo è un dato di fatto. Come se non bastasse il sistema elettorale a doppio turno, pur aumentando la frammentazione del quadro politico facendo crescere le liste che partecipano alle elezioni, fa perdere potere contrattuale alle ali estreme sulle politiche effettivamente attuate dalla parte vincente. Lo sostengono, e lo verificano empiricamente, Massimo Bordignon (Università Cattolica) e Guido Tabellini (Università Bocconi) in Moderating Political Extremism: Single Round vs Runoff Elections under Plurality Rule, un working paper dell’Igier Bocconi.
“La ragione”, scrivono i due economisti, “è che il doppio turno riduce il potere contrattuale dei partiti estremi, che fanno tipicamente appello a un elettorato più circoscritto”. Nelle elezioni a turno unico i partiti minori ed estremi, presentandosi autonomamente, possono sottrarre ai grandi partiti moderati ideologicamente più vicini voti essenziali al successo finale, mentre nel doppio turno questa minaccia non sussiste se, al ballottaggio, almeno una parte degli elettori estremi preferisce all’astensione il voto per il partito ideologicamente più vicino.
Le osservazioni confermano che quasi la metà degli elettori dei partiti esclusi dal ballottaggio tornano comunque al voto nel secondo turno. Quando il potere contrattuale dei partiti minori è limitato, quelli maggiori non hanno interesse ad allearsi con loro prima delle elezioni, il che fa aumentare il numero delle formazioni in lizza; ma non sono neppure interessati a inserire nelle loro piattaforme elettorali i programmi estremi di cui i piccoli partiti sono sostenitori, il che porta alla realizzazione di politiche più moderate dopo le elezioni.
Dopo avere costruito un modello che predice l’esito descritto, Bordignon e Tabellini lo testano alla luce dei dati relativi alle elezioni comunali in Italia. Esse si prestano perfettamente alla verifica perché la riforma del 1993 ha introdotto un doppio sistema per i comuni inferiori ai 15.000 abitanti (turno unico) e per quelli superiori (doppio turno). Utilizzando dati anteriori e posteriori al 1993 per comuni lombardi di dimensioni simili tra loro (poco al di sotto o poco al di sopra della soglia dei 15.000 abitanti), i due autori osservano che l’introduzione della riforma è coincisa con una riduzione del numero delle liste nei comuni minori, che hanno adottato il turno unico. Nei comuni maggiori aumenta il numero delle liste, ma non quello dei candidati, ciascuno dei quali può essere sostenuto da più partiti.
Manuel Massimo