AlmaLaurea: “Con dottorato si guadagna di più ed è più facile trovare lavoro. Male divario di genere e internazionalizzazione”

Ad un anno dal titolo lavorano al 90,9% contro il 74,6 della magistrale. Anche gli stipendi sono più alti (+26,8%) ma resta lo svantaggio con l’estero e il divario di genere.

Seppure in crisi di vocazione, visto il progressivo calo di iscritti, il dottorato si conferma un titolo privilegiato dal punto di vista dell’occupazione. A dirlo è l’ultimo rapporto di AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei dottori di ricerca che dimostra, da un lato, la capacità della formazione post terziaria di recuperare i livelli pre-pandemia e, dall’altro, il suo maggiore appeal sul mercato del lavoro rispetto alla semplice laurea magistrale. Nota amara l’internazionalizzazione, solo la metà dei dottorandi affermano di aver fatto un periodo di ricerca all’estero, e la maggior parte su propria iniziativa. Non migliora il divario di genere: il 48% sono donne benché sono la maggioranza le laureate (e con il massimo dei voti) rispetto agli uomini.

Il rapporto

Il Rapporto AlmaLaurea sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei Dottori di ricerca, giunto alla sua settima edizione,è statopresentato oggi, martedì 13 settembre2022, nella sede dell’Università di Camerino nell’ambito del Convegnoin collaborazione con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con il patrocinio della CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane. I lavori sono stati aperti con i saluti di benvenuto del Rettore dell’Università di Camerino e Componente del Consiglio di Amministrazione di AlmaLaurea Claudio Pettinari, della Direttrice generale delle istituzioni della formazione superiore – MUR Marcella Gargano, del Vicepresidente CRUI Salvatore Cuzzocrea, del Presidente ANVUR Antonio Felice Uricchio e, in collegamento, del Presidente di AlmaLaurea Ivano Dionigi. Pettinari: “I salari dei dottorandi in media superano quello dei laureati. Una volta si diceva vorrei un figlio laureato, oggi si potrebbe dire vorrei un figlio dottorato. Oggi abbiamo la possibilità di avere dottorati più mirati per il mondo del lavoro: dalla cyber security alla green economy, all’inteligenza artificiale e cos’ via. Come ha detto la direttrice del Mur, Marcella Gargano, i risultati li vedremo tra quattro anni anche rispetto la qualità della ricerca”. Tra le personalità intervenute anche la presidente del Cnr, Maria Chiara Carrozza: “Io penso che il dottorato debba diventare una formazione fondamentale del percorso non solo accademico. Magari non seriale, cioè subito dopo la laurea, ma anche all’interno di un’azienda per dare la possibilità ai manager di un’azienda di fare una formazione superiore”.

Il Rapporto 2022 sulla Condizione occupazionale dei Dottori di ricerca di 45 Atenei si basa, invece, su un’indagine che riguarda circa 5.250 dottori di ricerca del 2020 e analizza i risultati occupazionali raggiunti nel 2021, a un anno dal conseguimento del titolo. Se si prende a riferimento la popolazione coinvolta nell’indagine AlmaLaurea sulla Condizione occupazionale, si evidenzia che essa costituisce circa il 68,6% del complesso dei dottori di ricerca usciti dal sistema universitario italiano in quell’anno. Il tasso di risposta per la rilevazione sul Profilo è pari al 93,1%; quello per la rilevazione sulla Condizione occupazionale è pari all’81,4% (considerando coloro che ai sensi del GDPR sono stati contattati avendone espresso il consenso).

Dottorato in Italia

Dati di confronto. L’Italia ha un numero di dottori di ricerca che è pari allo 0,5% della popolazione in età lavorativa, ossia di età 25-64 anni. Il confronto internazionale ci colloca agli ultimi posti: alle nostre spalle, infatti, troviamo solo Turchia, Lettonia e Messico. Negli ultimi anni, tra l’altro, il numero di dottori di ricerca in Italia è andato via via diminuendo: in termini assoluti, dagli oltre 10.000 del 2017 ai quasi 8.000 del 2021. Come evidenziato nel Rapporto ADI del 2019, tale riduzione è dovuta principalmente al calo del numero di posti banditi senza borsa di studio, anche se nei prossimi anni il PNRR punta ad incrementare gli investimenti su questo fronte. In aprile 2022 sono stati pubblicati sul sito del Ministero dell’Università e della Ricerca i primi due decreti sui dottorati di ricerca finanziati con investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR): si tratta di 7.500 borse di studio. I decreti sono il n. 351 e il n. 352 del 9 aprile 2022.

Occupazione

A un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il tasso di occupazione è complessivamente pari al 90,9%; tale valore risulta in aumento di 1,9 punti percentuali rispetto a quanto rilevato nel periodo pre-pandemico, ossia nel 2019 sui dottori di ricerca del 2018. I livelli occupazionali dei dottori di ricerca risultano decisamente più elevati di quelli registrati tra i laureati di secondo livello, evidenziando che
la formazione post-laurea rappresenta un valore aggiunto e una tutela contro la disoccupazione: l’indagine AlmaLaurea rileva infatti che nel 2021 i laureati di secondo livello presentano un tasso di occupazione pari al 74,6% a un anno dal titolo di studio (-16,3 punti percentuali rispetto a quanto osservato tra i dottori di ricerca) e all’88,5% a cinque anni (valore prossimo a quello rilevato per i dottori di ricerca a un anno dal titolo). I dati, inoltre, mostrano esiti occupazionali a un anno dal conseguimento del titolo molto buoni per i dottori di ricerca di quasi tutte le aree disciplinari, in particolare per i dottori in scienze della vita, ingegneria e scienze di base (tasso di occupazione superiore al 90%). Nel complesso, anche tra i dottori di ricerca si confermano le differenze di genere evidenziate da AlmaLaurea nell’indagine sui laureati, seppure risultino più contenute: a un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca il tasso di occupazione è pari al 91,7% per gli uomini e al 90,2% per le donne (+1,5 punti percentuali a favore degli uomini; tra i laureati di secondo livello: +6,5 punti a un anno e + 4,2 punti a cinque anni, punti sempre a favore degli uomini).

Poca internazionalizzazione

Tra i dottori di ricerca del 2021, la quota di cittadini stranieri, che comprende anche gli studenti che hanno frequentato uno o più livelli di istruzione in Italia, è complessivamente pari al 16,2%, un valore più di tre volte superiore a quello rilevato per i laureati di secondo livello del 2021 (5,3%). Limitando l’analisi ai dottori di ricerca di cittadinanza estera per cui si dispone dell’informazione relativa al titolo di accesso al corso di dottorato, si osserva come il 74,5% di loro abbia ottenuto la laurea all’estero. Dunque il 10,8% dei dottori di ricerca del 2021 è un cittadino straniero che, dopo aver ottenuto un titolo universitario all’estero, si reca in Italia per frequentare il dottorato. Le nazionalità più rappresentate sono l’Iran, l’India e la Cina, che insieme costituiscono più di un quarto dei dottori stranieri con laurea all’estero. In ottica internazionale (fonte Eurostat), l’Italia nel 2019 aveva una quota di studenti iscritti a corsi di dottorato di cittadinanza estera pari al 15,6%, quota lievemente inferiore alla media europea EU27 (17,8%), ma comunque decisamente più bassa rispetto a quella di molti Paesi europei. Tra quelli con le quote più elevate vi sono Lussemburgo (87,2%), Paesi Bassi (45,9%), Regno Unito (41,1%) e Francia (37,9%), ma anche Paesi del Sud-Europa quali Portogallo (31,4%), Malta (24,3%) e Spagna (18,2%). La Germania, invece, ha una quota inferiore a quella italiana (12,2%).

Persiste divario di genere

Ripartizione equilibrata fra i generi: l’indagine sul Profilo dei dottori di ricerca dice che tra i dottori di ricerca del 2021 le donne rappresentano il 49,1%, un valore in linea con la più recente documentazione MUR relativa all’anno 2021. Tuttavia, il confronto con i laureati di secondo livello coinvolti nell’indagine di AlmaLaurea conferma che più si sale nella scala dell’istruzione e meno sono le donne: tra i laureati, infatti, le donne sono il 59,4%. Inoltre, distintamente per area disciplinare si nota che la presenza femminile è molto inferiore nelle discipline STEM. Più nel dettaglio, la componente femminile tra i dottori di ricerca è inferiore al 50% nell’area delle Scienze di base (37,6%) e di Ingegneria (33,8%), mentre è maggioritaria nell’area delle Scienze della vita (63,2%), in quella di Scienze umane (58,8%) e nell’area delle Scienze economiche, giuridiche e sociali (50,5%). Tali risultati sono coerenti con quanto osservato tra i laureati dove, storicamente, la maggiore presenza femminile è confermata in tutte le aree disciplinari, eccetto l’area STEM.

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