Più di mille tra professori precari e comitati e studenti si sono riuniti a piazza dell’Esquilino a Roma per un corteo contro il precariato nella scuola pubblica. Martina ha 43 anni, un figlio di 5 anni, è di Terni ed è una delle centinaia di persone che sabato 12 ottobre hanno manifestato in piazza a Roma perché da un giorno all’altro, nonostante anni di esperienza nella scuola, hanno perso la possibilità di insegnare.
La professoressa ha lavorato per sette anni negli istituti superiori della sua città come docente di italiano, ma quest’anno l’algoritmo che seleziona le cattedre su base provinciale l’ha saltata. Così ha dovuto ripiegare, quando un’altra cattedra si è liberata, per puro caso, sull’insegnamento di storia dell’arte.
Ad un altro suo collega è andata peggio, perché ha perso la cattedra di scienze, tuttora è senza lavoro, dopo diversi anni di precariato. Entrambi, in tutti i casi, sono risultati idonei al concorso che si è tenuto nel 2020, ma non sono mai stati stabilizzati. E chissà quando potranno esserlo.
“L’approccio che il governo sta avendo nei confronti della scuola è pessimo e anche pericoloso, a partire dall’inasprimento codice dei dipendenti pubblici che sanziona i reati secondo il ministero d’opinione, al fatto che il governo continua a bistrattare i precari usando un algoritimo per le chiamate che è assolutamente illegale e non da nessuno agio alla trasparenza. Siamo qui con varie delegazioni di precari di concorsi che si sono contrapposti per una gestione fallimentare del ministero che ha portato gli indonei del 2020 di non essere assunti nei tempi giusti ma essere assunti con ruoli non effettivi. Mentre chi ha fatto il concorso Pnrr non sa neanche se avrà una graduatoria. Inoltre l’Europa ha comunicato al ministero che non è vero come afferma Valditara che questi concorsi ce li chiede l’Europa ma che c’è un’autonomia sul reclutamento che riguarda i singoli Stati. Il prodotto sono 250 mila precari che non sanno nulla sul proprio futuro e che ancora deve percepire le mensilità di settembre”, ha affermato Giulia Bertelli, segretaria della Federazione Cub Scuola Università e Ricerca di Torino.
Il termine precarietà risuona di bocca in bocca mentre attraversiamo la protesta degli insegnanti che nel pomeriggio si sono dati appuntamento in piazza dell’Esquilino. Convocato dalle varie sigle che compongono il sindacalismo di base, Cobas, Cub Sur, Clap, Usb, e da altre realtà associative del mondo studentesco, il corteo ha attraversato il centro della Capitale concludendosi in piazza della Madonna di Loreto.
Le storie degli insegnanti precari
La condizione di precarietà è la stessa che accomuna Anna, che si è trasferita dalla Puglia per lavorare come insegnante di sostegno in una scuola media a Torino, Antonio che insegna materie letterarie nella città in cui è nato, Lecce, e Daniela, che è una tecnica di laboratorio ed è impiegata in una scuola media a Palestrina, un comune che si trova a sud di Roma poco oltre il raccordo anulare.
Sono il corpo vivo della scuola italiana e, a conti fatti, sono 250.000 quest’anno, cioè uno su quattro, i lavoratori e le lavoratrici che non hanno un impiego stabile, una pratica per cui, proprio qualche giorno fa, la Commissione europea ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea per l’utilizzo abusivo e reiterato di contratti a tempo determinato e per le condizioni di lavoro discriminatorie previste nel nostro sistema scolastico. Non solo.
“Le condizioni di reclutamento dei precari nella scuola sono diventate insostenibili, sia da un punto di vista materiale che di dignità personale. Le vite di centinaia di migliaia di persone sono ogni anno nelle mani di un algoritmo che funziona in modo arbitrario e non tiene conto delle uniche variabili necessarie per insegnare a scuola: l’esperienza, la competenza, l’empatia e la continuità”, dice Giuliana Visco, insegnante in una scuola di Roma ed attivista delle Clap, Camere del lavoro autonomo e precario.
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