Scuola e università, manca un miliardo. Fioramonti tentato dall'addio

La Legge di bilancio si chiude con risorse per 2 miliardi invece dei 3 chiesti dal ministro. Assente l’università, pochi milioni per la ricerca. Gli aumenti per il contratto istruzione si fermano a 70 euro lordi invece dei promessi 100. Il titolare del Miur ha sempre detto: “Se non ci sono i soldi mi dimetto”
I tre miliardi di euro chiesti per quattro mesi da Lorenzo Fioramonti – per la scuola e l’università italiane – non ci sono. I due miliardi per la scuola, in verità, sì: la somma delle quattordici voci approvate in Finanziaria (manca ancora il passaggio alla Camera) fa un miliardo e 977 milioni euro. Siamo a un passo dalla promessa, ecco. Ma l’università, l’università e la ricerca così importanti per il ministro professore e, a parole, per il premier avvocato, sono inspiegabilmente assenti dalla manovra 2019.
Sull’alta formazione questo governo può rivendicare tre piccoli passi in avanti:un aumento di 16 milioni di euro per le borse di studio agli studenti d’ateneo (potrebbero azzerare, con un ulteriore intervento delle regioni, la figura dell’idoneo non beneficiario), quindi altre 1.200 borse per la specializzazione medica (valore 5,425 milioni di euro) e la nascita dell’Agenzia nazionale per la ricerca (solo 25,3 milioni, però, è il suo capitale di partenza). Oltre a questo, a bilancio sono stati messi spiccioli senza un progetto: 2,5 milioni per la stabilizzazione dei ricercatori Crea (nulla per gli altri ventun Enti di ricerca), un milione a testa per due centri da insediare nel Mezzogiorno (l’Esfri per le infrastrutture di ricerca e un secondo per lo studio delle scienze religiose), 500 mila euro per la Sissa, la Scuola internazionale superiore di Trieste. No, non sarà attraverso questa Finanziaria che si rivedrà la carriera strozzata dei ricercatori, né si cambieranno le regole di arruolamento di un’accademia ingolfata nelle carriere iniziali e invecchiata in aula. Non c’è alcun respiro, in questa manovra di bilancio, sul tema più caro a Lorenzo Fioramonti: “L’università italiana, che è tra le più innovative ed eccellenti nel mondo, è sottofinanziata e sfinita dalla burocrazia”, aveva detto a Repubblica lo scorso 11 ottobre. Così resterà, dopo la Legge di bilancio 2019.
Dicevamo la scuola: obiettivo quasi raggiunto. Mancano solo ventitré milioni per portare a bilancio i due miliardi di euro “per mantenerci sulla linea di galleggiamento”. Anche qui, però, c’è davvero poco per spingere avanti la didattica, la qualità delle nostre scuole. L’88 per cento di quella cifra – ovvero 1,744 miliardi – saranno impegnati per il rinnovo del contratto di lavoro che riguarda un milione e cinquantamila docenti e 150 mila amministrativi di vario livello. Secondo le proiezioni della Federazione della conoscenza della Cgil, con questo finanziamento sarà possibile aumentare lo stipendio medio degli insegnanti di 40 euro nel 2020 e 70 euro nel 2021. Non ci sono le “tre cifre” reclamate da Fioramonti: per arrivare a un aumento a “quota 100” serviranno altri 600 milioni e, per questo, la trattativa sindacale si chiuderà a fine 2021, con la prossima Legge di bilancio. Questo ministero ha fatto tanta fatica a chiudere con soddisfazione le partite aperte e i sindacati confederali, più Gilda e Snals, hanno proclamato lo stato di agitazione: mercoledì manifesteranno davanti al Miur.
L’Educazione civica diventa (anche) finanziaria
Per arrivare alla somma indicata (quasi due miliardi di euro) abbiamo attribuito alle politiche di Fioramonti finanziamenti che, sì, finiranno alle scuole italiane, ma attraverso i bilanci di altri ministeri o enti locali. I 100 milioni per la ristrutturazione degli asili comunali – piano quindicennale da un miliardo e mezzo – sono una partita che approda, appunto, direttamente sui comuni. I 46 milioni per l’apprendistato duale sono in carico al ministero del Lavoro. I 20 milioni per portare giornali e pubblicazioni online nelle scuole sono un’iniziativa della presidenza del Consiglio. La promozione della lingua italiana all’estero (1 milione) è questione della Farnesina. Su forte spinta dell’Associazione bancaria (Abi) sono entrati in Bilancio, poi, 200 mila euro per trasformare l’Educazione civica, già trasformata in Educazione ambientale, in Educazione finanziaria e alla cultura d’impresa.
I successi rivendicati dalla viceministra Anna Ascani (Pd), si vede, non ci sono. E se è vero che la sterilizzazione dell’Iva ha frenato tutta l’impostazione della manovra economica Pd-5 Stelle, dall’altra parte la neo squadra del Miur fioramontiano fin qui non ha funzionato. Gli ambasciatori politici e tecnici inviati in Parlamento si sono dimostrati inesperti, deboli, e molti segnalano come di fronte alla battaglia della vita il ministro abbia sbagliato a limitarsi a un lavoro in Consiglio dei ministri, soprattutto con Roberto Gualtieri, responsabile delle Finanze. “La manovra si forma in Parlamento, nelle commissioni, nelle riunioni dei capigruppo di maggioranza, e in queste sedi Fioramonti non si è mai visto”.
Il ministro Cinque Stelle può attribuirsi il Decreto salva scuola, che sarà approvato in coda alle Legge di bilancio, ma non potrà immaginare moltiplicazioni economiche nel corso del 2019, neppure con il Decreto Milleproroghe. Diciamo che potrà aggiungere al curriculum i 57 milioni messi a bilancio tra 2019 e 2020 dal precedente governo gialloverde per sbloccare concorsi straordinari e portare docenti precari in cattedra: il “Salva scuola”, appunto. Il merito del suo sblocco va attribuito a Fioramonti. Anche con quest’ultimo addendo – 57 milioni – la somma delle risorse aggiuntive di scuola-università resta 966 milioni sotto gli ormai famosi “tre miliardi”.
“Zero euro agli enti pubblici, andiamo all’estero”
Lorenzo Fioramonti, per ora, organizza conferenze con la viceministra Ascani in cui annuncia la spesa di 5,4 miliardi per l’edilizia scolastica, ma quelle sono risorse già esistenti, non certo nuove, risorse che, tra l’altro, con la soppressione della struttura di missione “Italiasicura” faticano ad approdare agli istituti scolastici bisognosi.
Ancora in questi giorni il ministro ha ripetuto: “Sono un uomo di parola, se non ci saranno i tre miliardi, il minimo per un settore cruciale, lascio”. Per le riflessioni di queste ore può essere utile la lettera aperta scritta dai precari del Consiglio nazionale delle ricerche, dimenticati in questo giro. I ricercatori uniti difendono Fioramonti e fanno sapere al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e agli altri ministri: “Zero euro agli Enti pubblici di ricerca e 300 milioni dal 2022 a una sovrastruttura politica, l’Agenzia nazionale per la ricerca, criticata dalla Corte dei Conti e dalla comunità scientifica nazionale e internazionale. Ciò di cui vi dovreste vergognare è il non aver preso in considerazione il ruolo del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, un uomo di scienza, un nostro collega, una persona che con le sue dichiarazioni (“tre miliardi per istruzione e ricerca”) aveva espresso con forza e chiarezza inequivocabili un percorso doveroso e necessario per il cambiamento del destino dell’Italia. Non avete avuto neanche la dignità di supportare gli emendamenti di maggioranza volti a dare un briciolo di speranza ai mille precari degli Enti pubblici di ricerca. Ci avete dato l’ennesimo schiaffo, continuando a spingerci fuori dall’Italia a rivendere le nostre competenze, profumatamente pagate negli anni dai contribuenti italiani, al miglior offerente estero”.
larepubblica

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