“Così staneremo i baroni nelle università”. La rivoluzione (silenziosa?) del ministro Giannini

Gelmini

“Abolirò i concorsi per decreto”. Ha fatto discutere l’annuncio del ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, che in un’intervista di Emiliano Fittipaldi sull’Espresso ha annunciato il suo piano di rinnovamento del sistema nazionale. Sotto la lente d’ingrandimento finisce la riforma Gelmini, ereditata dal nuovo inquilino di viale Trastevere e, soprattutto, l’Abilitazione Scientifica Nazionale, che tante discussioni e polemiche ha suscitato nell’ambiente. Ecco l’intervista integrale.

 

Farete un’altra riforma?

“No, ma cambieremo molte cose. I meccanismo di selezione dei nostri docenti negli ultimi vent’anni sono stati modificati ben quattro volte. Se le regole del gioco sono state corrette ad ogni lustro, i risultati sono sempre stati uguali: proteste, ricorsi al Tar, giudizi discutibili. Ricordo, però, che l’etica individuale e la correttezza comportamentale non si possono imporre per decreto: c’è un mondo universitario, da cui provengo, che si deve interrogare nel profondo, in modo da evitare continui scandali e fare reclutamenti all’altezza”.

 

Sperare che i baroni si autoriformino sembra un’utopia, ministro. Voi che farete nel concreto?

“Le regole dell’abilitazione nazionale sono troppo complicate,il marasma normativo ha lasciato spazio all’opacità e declinazione impropria del sistema. E’ questo il principale difetto della Riforma Gelmini, bisogna semplificare l’impianto generale. Guarda caso sono arrivati già mille ricorsi. In futuro, per migliorare la qualità dei lavori delle commissioni e permettere carriere più rapide, dobbiamo evitare che le abilitazioni vengano fatte ogni quattro-cinque anni”.

 

Con che scadenza saranno banditi i nuovi concorsi nazionali?

“Vorrei creare commissioni permanenti per le varie discipline. I blocchi, come si è visto, producono fiumane di candidati e decine di migliaia di domande, gli esami diventano difficili e poco controllabili. Alcune commissioni devono giudicare oltre mille persone, 15 mila i libri che ognuno dei cinque membri avrebbe dovuto leggersi in pochi mesi. Un’enormità. In altri Paesi la valutazione continuativa esiste da decenni: anche in Italia bisogna passare dalle tornate concorsuali a giudizi a sportello. Le commissioni, naturalmente, devono essere innovate dopo un certo periodo. Poi, dopo aver ottenuto l’abilitazione da parte della comunità scientifica di riferimento, il candidato potrà essere assunto”.

 

Oggi nei concorsi locali i baroni dettano legge. Vincono quasi sempre i candidati interni. 

“Credo che i concorsi locali vadano aboliti per decreto. Sono convinta che le singole università debbano poter chiamare in totale autonomia chi vogliono, rispettando ovviamente standard internazionali. Bisogna che capacità, numero e importanza di pubblicazioni siano premianti. Spero che riuscirò a fare proposte concrete prima delle vacanze estive. Finora al governo ci stiamo muovendo velocemente: abbiamo iniziato le procedure per il concorso per la scuola 2015. Ci saranno 17 mila nuove assunzioni entro il 2016. Circa la metà saranno giovani, gli altri saranno presi dalle graduatorie. Ma già l’anno prossimo prenderemo altri 6-7 mila ragazzi, già idonei perché hanno superato il concorso, molto selettivo, istituito dal mio predecessore Francesco Profumo”.

 

Non c’è il rischio che con un’autonomia assoluta i dipartimenti assumano, ancor di più, chi vogliono a discapito del merito?

“Il sistema funzionerà solo se riusciremo a garantire la continuità e la trasparenza nelle abilitazioni nazionali (la seconda tornata non verrà modificata, la Giannini intende solo prorogarla fino a settembre, ndr) . E, in secundis, se le università saranno sottoposte a un meccanismo di valutazione da parte del ministero e dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario. Se qualcuno deicide di assumere al posto di uno scienziato capace un candidato meno bravo a racomandato, l’ateneo sarà duramente penalizzato sotto il profilo economico. A chi non raggiunge risultati sul profilo della ricerca e delle pubblicazioni, per dirla brutalmente, taglierò i soldi. Una cosa che non ha mai fatto nessuno. Gli strumenti normativi già esistono, ma finora non c’è stata volontà politica di usarli”.

 

Lei è stata a capo dell’Università degli Stranieri di Perugia, e la riforma Gelmini è stata applaudita anche dalla Conferenza dei rettori di cui lei faceva parte. Non usa mai, nelle interviste, il termine baroni. E’ un caso o non vuole dispiacere i suoi colleghi? 

“Non lo uso volutamente. Ma non per paura di urtare la suscettibilità dei docenti. Semplicemente, io credo che le università abbiano le loro magagne, ma che la patologia non sia così diffusa come descrive la stampa. Esistono casi come quello di Bari o le inchieste sulla Sapienza, ma la parte sana è ampiamente maggioritaria. Quello che considero davvero infausta è la mentalità tribale di molti professori, che spesso si impongono come primo obiettivo la conservazione e lo sviluppo della propria specie. Ogni settore scientifico tira acqua al suo mulino, e a volte capita che il reclutamento ne sia condizionato. Le raccomandazioni esistono, ma quello che va combattuto è innanzitutto il corporativismo. Bisogna abbandonare la logica tribale e abbracciarne una industriale”.

 

In che senso?

“I dipartimenti devono lavorare per dare il meglio ai loro studenti, in modo da competere con altre realtà italiane e straniere. Dal rettore fino al ricercatore, tutti devono essere responsabilizzati. Le norme che voglio introdurre faranno sì che sarà molto più difficile che qualche barone assuma il figlio, la fidanzata o l’allievo asino. Sarà costretto, dalle leggi di mercato, a chiamare chi saprà dare lustro al gruppo di ricerca, chi permetterà di accedere ai finanziamenti. Se riusciremo a compiere questa rivoluzione, staneremo i professori che non pubblicano da 10 anni, quelli che cofirmano gli articoli ma non hanno più idee innovative. Alzeremo muri di vetro in una casa da sempre protetta dal cemento armato”.

 

Non si è fatta attendere la risposta dell’ex ministro dell’Istruzione, Maria Chiara Carrozza. “Concorsi universitari e abilitazione nazionale? Io sono sempre stata favorevole alle chiamate dirette con un piano di incentivi basati sulla qualità dei chiamati, l’unica maniera per valutare i professori è il Curriculum e il loro rendimento in termini di didattica, ricerca e attrazione di progetti di ricerca. Sono per la responsabilità diretta degli organi accademici e delle commissioni nella scelta dei candidati rispetto al profilo e all’interesse dell’ateneo”.

“Penso però che non tutte le commissioni dell’abilitazione scientifica nazionale abbiano lavorato male e non mi piace l’idea di screditare in un colpo solo i tanti che hanno prestato servizio nelle commissioni in modo onesto e impegnativo – scrive tramite il suo profilo ufficiale Facebook – Non c’è altro metodo che la responsabilità per migliorare, e poiché si tratta di fondi pubblici occorre implementare un piano di valutazione del reclutamento. Nel rapporto ANVUR c’è già una valutazione del reclutamento che però è passata sotto silenzio forse perché dice cose ‘scomode'”.

“Sono anche favorevole ad un certo numero di concorsi nazionali per attrarre giovani dall’estero, e dare comunque opportunità ai giovani di concorrere liberamente dalle logiche accademiche, con la possibilità poi per gli atenei di chiamare i migliori e di attrarli con offerte di spazi, laboratori, studenti e attrezzature scientifiche. I concorsi nazionali come quelli Montalcini  – conclude Carrozza – sono molto importanti per il rientro dei cervelli dall’estero. E il paese ne ha tanto bisogno, se potessi concentrerei molte risorse su queste iniziative nazionali”.

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