Chi pratica sport estremi o pericolosi ha un continuo bisogno di emozioni forti e una necessità fisiologica di produrre ormoni, come serotonina e adrenalina, che gli procurano benessere e piacere. Sono i cosiddetti «sensation seekers», ovvero i «cacciatori di emozioni», che in Italia si stima siano tra il 5 e il 10% della popolazione: persone che bilanciano in questo modo lo stress e che senza queste discipline ad alto tasso di intensità emotiva si annoierebbero.
A disegnare l’identikit degli sportivi estremi è lo psicofisiologo Francesco Di Russo, docente di Psicologia dello Sport all’Università di Roma Foro Italico, dopo l’incidente accaduto all’attore televisivo Pietro Taricone. «Praticare questo tipo di sport piuttosto che altri – spiega all’Adnkronos – non è questione di esibizionismo o di casualità, perché queste persone, diversamente da chi è per natura ansioso e quindi si limita nelle proprie attività, hanno bisogno di livelli di attivazione fisiologica e mentale molto alti».
Dal punto di vista chimico «hanno bassi livelli di alcuni neurotrasmettitori, che non vengono prodotti normalmente. Attraverso questi sport ad alto impatto il corpo reagisce e li produce procurando piacere, fino a determinare meccanismi di dipendenza: gli stessi che si verificano con le droghe.
In particolare – conclude – il paracadutismo è stato molto studiato in letteratura. Lanciarsi nel vuoto è qualcosa che va contro il naturale meccanismo di auto-protezione, e che forza il nostro istinto di sopravvivenza. Ciò causa una forte scarica di adrenalina, accelera il battito cardiaco, provoca un restringimento dei capillari. Reazioni che ci preparano al pericolo e che sono seguite da una sensazione di benessere».
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